Un vocabolario colto e raffinato
(Alessandro Tosi, 2011)
...Con i deliziosi cuoi lavorati e accanto a quel Galileo Chini che continuerà ad essere fonte privilegiata di motivi e soluzioni, Pizzanelli aveva infatti contribuito allo straordinario successo della celebre Sala del Sogno alla Biennale veneziana del 1907. Dai felici esordi su una scena nazionale e internazionale, dopo che “un po' pencolò per il '900” (come scriveva “Lallo” nel 1935) era passato ad una convinta e piena adesione al nuovo classicismo di impronta Novecentista, diventando protagonista nel panorama artistico pisano degli anni '30. Coinvolto nell'organizzazione delle mostre sindacali d'arte a partire dal '35 fiduciario del Sindacato Pisano di Belle Arti, Pizzanelli era interprete tra i più dotati e dosati di una pittura di temi e toni ampiamente condivisi.
Un ruolo riconosciuto ufficialmente alla VII mostra sindacale inaugurata al Teatro Verdi nel dicembre del 1936, dove le sale principali spettavano a lui e a Giuseppe Viviani. Ma se il “principe di Boccadarno” era personalità troppo forte e originale per ricondurvi ulteriori esperienze e ricerche – come lo era, del resto, anche Spartano Carlini – Pizzanelli veniva presentato con le coordinate di autorevole maestro. Quasi un Cézanne addolcito e più equilibrato, secondo Clément Morro (critico francese assai attento al panorama pisano), con la stessa volontà di “interpretazione sintetica della natura” ma più saggio e controllato, “constructeur puissant et ses oeuvres ont en quelque sorte une structure architecturale qui leur assure une vie durable”; e, per Raffaello Franchi, personalità emergente tra i “nuovi pittori italiani di un paese, veri primitivi di un nuovo classicismo”, “interprete di consapevole e poeticissima intenzione” del paesaggio e soprattutto del paesaggio pisano. Come a dire che nella “volontà architettonica” di Pizzanelli (così Fortunato Bellonzi nel 1932) testimoniata ad esempio dal Vecchio Ponte a Piglieri presentato alla V Mostra d'arte del 1934, si rivelava una sensibilità paesaggistica che sembrava tradurre l'essenza naturale e sentimentale degli scenari pisani, anzi di quel piano di Pisa “che al modo di tutti i luoghi pianeggianti a lontani e astrattivi orizzonti, porta allusivamente a ridosso di chi guarda ogni visibile piano volumetrico, realizzando al di là, in un soffio, il senso quasi più fantastico che reale della distanza” (Raffaello Franchi).
Motivi che giungevano nel momento di più intense riflessioni sul tema del paesaggio e del paesaggio agrario, anzi agricolo, nelle sue rispondenze decorative, architettoniche, pittoriche. Nel 1935, a due anni di distanza dal Manifesto della pittura murale steso da Sironi, Campigli, Funi e Carrà, era Mario Tinti, nel volume Architettura delle case coloniche illustrato dai disegni di Ottone Rosai, ad indicare la linea Giotto-Fattori-Cézanne come strada maestra per ritrovare le “forme elementari” del paesaggio toscano. Una linea che si affermava attraverso le straordinarie pagine pittoriche di Rosai nella sala-ristoro della nuova Stazione di Santa Maria Novella, di Lorenzo Viani nella stazione di Viareggio e nell'estremo ciclo di affreschi a Castel Fusano di Ardengo Soffici nella sua intensa stagione di frescante. E che trovava a Pisa una pronta adesione nella generazione di artisti che, da Federigo Severini, a Salvatore Pizzarello, Gino Bonfanti, Guido Cerri, Ascanio Tealdi, Piramo Cigheri o Giovanni Caniaux, nella riscoperta del glorioso medioevo pisano andavano impostando una corrispondenza tra il dato paesistico e la ricerca di sobrie strutture formali e volumetriche.
A cogliere questo “sentimento del paesaggio” era del resto la penna magistrale del giovane Enzo Carli che, introducendo al VIII mostra sindacale del 1938, indicava i suoi “paesaggi del cuore” come motivo di identità cittadina:
“i Pisani, oggi, sognano aperture marine sotto gli archi dei ponti, mentre il fiume stagna dolcissimo nei suoi verdi smeraldo sotto la canicola dei rossi mattoni, o si gonfia celeste e felice ai soffi di un insolito maestrale mattutino: e non è la crudetta luce della Toscana terragna che sega gli spigoli o coagula le ombre a definire precisi volumi e taglienti disegni, ma l'arioso chiarore di un abbagliante orizzonte salino che s'addolcisce e si stempera nel riflesso delle pinete e dei prati a penetrare di sé gli alberi e le pietre, a sfiorare con un'inerte e vaga tristezza le fronti delle giovinette, a donare un colore di caldo pane ai marmi delle Chiese corrosi dal salmastro”.
In tale contesto, sono proprio gli affreschi eseguiti nel 1939 a Pizzanelli per l'Aula Magna della Facoltà di Agraria a rappresentare un documento tra i più suggestivi e significativi. Nelle due scene del Seminatore e della Raccolta del grano (o La contadina), in cui il rapporto tra figure e paesaggio è risolto in meditate scansioni narrative, si rivela infatti la partecipazione ad una cultura figurativa allargata e condivisa. Dove si possono ritrovare, nelle semplificazioni masaccesche di case coloniche, cipressi o colline, i motivi percorsi non solo da Rosai, Viani e Soffici, ma anche da Achille Lega, Bruno Bramanti, Pietro Bugiani.
La volontà di Pizzanelli di ricondurre la pisanità ad una più ampia toscanità, che significava anche più saldi apporti con il gruppo del Novecento toscano, si concretizzava proprio nel 1939 quando alla IX mostra Sindacale garantiva la partecipazione di Carlo Rivalta, Franco Dani, Guido Ferroni, Guido Peyron, Guido Spadolini, Mario Moschi e Mario Bucci… (Alessandro Tosi, 2011)
1962
Pisa Mostra degli Artisti Indipendenti, Logge di Banchi, giugno
1971
Pisa Omaggio agli artisti scomparsi, a cura dell’Ente Provinciale
Per il Turismo, Museo di S.Matteo, maggio
1. Ritratto di giovane signora
2. Ritratto di signora (Emma)
3. Natura morta
Conobbi Ferruccio Pizzanelli ed a suo tempo ebbi ad apprezzarne l’opera pittorica e quella decorativa, in ispecie quella a carattere sacro, in opere murali. Lo conobbi anche come solerte organizzatore di mostre collettive dei pittori di Pisa e provincia, quelle sindacali e del circolo professionisti artisti pisani, ove fu segretario e fiduciario. Particolarmente riuscite anche e soprattutto per suo merito, queste mostre riunirono per la prima volta assieme, pittori pisani poi affermatisi, come Viviani, Tealdi, Pizzarello, Lupo, Pierotti, Bonfanti e scultori come Griselli, Consortini e artisti toscani come Vagnetti, Peyron, Dani, Chiappelli, Polloni. Infine Rosi, Volpi, Bellonzi, con lo scrivente, insieme ad altri valorosi come Curzio Rossi, Caniaux, Salvadori, Ferri, Acquaviva, Cigheri, Sestini e Gentilini, Macchia, Fascetti, Ferroni.
Pizzanelli scoppiata la guerra, per ovvie ragioni di sicurezza, sfollò ad Agnano. Nel ’13 attratto dalla città natale, ove era stato sempre legato, vi era tornato con la moglie e i numerosi figli (tra i quali Leonardo ha proseguito valorosamente nella carriera del padre) da Milano, ove pure si era fatto notare e si era distinto più volte in quell’ambiente artistico. Così, fino al ’40, Pizzanelli s’impose sul pubblico pisano degli amatori (numerosi oggi sono i collezionisti che conservano ancora sue opere) per un’impronta di nobiltà e serietà professionale anche perché nella Lombardia aveva imparato (in ispecie nell’ambiente difficile milanese) a misurare se stesso e le proprie esuberanze, cercando d’introdurre una certa larghezza d’impianto, forza tonale e disegnativa alla frammentarietà dei macchiaioli, dal cui ceppo era pur sempre proveniente. Ultimo allievo di Fattori da questi aveva imparato a tenere in serbo l’amore vivo per il ritratto, la sobrietà del disegno e del contorno, la ricchezza d’impasto cromatico e l’obbiettivato ragionamento compositivo. Così non v’è di meglio che inquadrarne la figura d’artista con quello ch’ebbero a scrivere di lui Mario Tinti, del 1921-22 e F. Bellonzi nel 1931, in occasione di una mostra personale a Palazzo alla Giornata, allora sede del Sindacato Professionisti e Artisti. (Giorgio Casini)
Ferruccio Pizzanelli è pisano, nato nel 1884, e lavora in riva al lago di Massaciuccoli, a Torre del Lago, fra Pisa e Viareggio, paese caro ai pittori toscani, ricco e vario di motivi. Cominciò a praticare l’arte con lavori in cuoio colorato, lavorati a sbalzo con fregi decorativi che, specie in Milano, dove il Pizzanelli lavorava allora, ebbero molto successo. In seguito si dette alla pittura di cavalletto. I suoi primi lavori davano a divedere un apprezzamento sensibile delle tonalità, ma erano spennelleggiati in un impressionismo futile e inconsistente. Da qualche anno - con uno sforzo che gli fa onore, - il Pizzanelli si è interamente rinnovato, producendo opere più costruite, più solide e meglio composte, frutto di una più seria e annosa indagine. Anche la sua tavolozza si è irrobustita, serbando tuttavia una sobria delicatezza. (M. Tinti, dal Catalogo della Fiorentina Primaverile. I Esposizione nazionale d’arte nel Palazzo delle esposizioni al Parco di San Gallo, Firenze, 1922, ed. dalla Società delle Belle Arti di Firenze - l’esposizione ebbe luogo dall’8 aprile al 31 luglio 1921)
L’interesse che presenta questa mostra di Pizzanelli è tale da consentire una definizione piena e conclusiva intorno ad un artista che nonostante abbia realizzato una sua propria comprensione del mondo, già affermatasi attraverso numerose mostre, è in continuo desiderio di ricerca e di superamento di sé medesimo, come è dei veri artisti, i quali sono insofferenti di indugiarsi troppo anche nelle strade più felici e più intimamente personali, perché sentono altre vie maestre aprirsi ai margini di quella che percorrono e altre intersecarla o interromperla.
...Nelle figure e nei paesi, sia che abbia dato maggiore importanza alla linea o al solido, al colore o al chiaroscuro, non ha mai smarrito quella virtù che è propria dei latini e massimamente di noi toscani, costruttiva, compositiva. Così pur avendo aderito a certe piacevolezze degli impressionisti, ha reagito con quella forza che è tutta nostra, di dare valore di necessità a quanto è casuale, di eternità tipica a ciò che è fenomeno , cioè apparenza, sistema insomma a quello che sistema non ha fuori da quell’unico sistematizzatore possibile che è l’artista. E in lui esalto soprattutto questa volontà architettonica che fa l’organismo dell’opera d’arte e che riporta alle composizioni, virtù troppo facilmente dimenticata dietro l’insegnamento degli impressionisti. Invece “Donna di Torre del Lago” dipinta dal Pizzanelli dieci anni fa, ci richiama alla mente i fiorentini del ‘400 e chi fece davanti ad essa il nome di Masaccio, diede il vero perché sono in quella figura la saldezza e la demolizione del particolare proprie del grande fiorentino. La sensibilità aristocratica del colore poi è in tutti i lavori dell’artista pisano. (F.Bellonzi, Recensione alla Mostra personale di F.P. del 1932)
i tre testi sono compresi in: “Omaggio agli artisti scomparsi” catalogo della mostra itinerante, Arte contemporanea pisana, a cura dell’Ente Provinciale per il Turismo, Pisa 27 maggio 1971
1973
...Come avviene, per altra via, dei cuoi colorati, così ricchi di fantasia decorativa, esposti da Ferruccio Pizzanelli (Pisa 1879) a Milano nel 1906 e alla Biennale veneziana del 1907, che nel giro di pochi anni si impoveriscono in una serie di motivi disseccati e di maniera da sottospecie Art Decò. Si noti che anche Pizzanelli godette di notorietà, e fu direttore (1910) della Società Italiana dei Cuoi Decorati: ancora una volta l’ufficialità sembra avere travolto, nella montata classicista, le speranze di rinnovamento stilistico del modernismo.
Eleonora Bairati, Rossana Bossaglia, Marco Rossi
“L’Italia Liberty arredamento e arti decorative”Gorlich Editore, Milano 1973, pag.304
(illustrazioni pag.462)
1974
Pisa Mostra retrospettiva di opere di pittura, grafica e scultura
di proprietà dell’Ente
A cura della Provincia di Pisa, aprile
1. paesaggio
1975
... La congrega aveva ritrovo in un capanno intitolato alla “Bohème”, e aveva relazioni di cui si ha qualche notizia. Si può parlare di alcuni pittori visitanti, come Galileo Chini da Firenze, Llwellyn Lloyd e Antonio Antony De Witt da Livorno, Spartaco Carlini, Amedeo Lori e Ferruccio Pizzanelli compagno di Nomellini, da Pisa; si dice d’altri, ancor da censire.
Carlo Ludovico Ragghianti.
Moses Levy, Critica d’arte, saggi e studi, Firenze 1975, pag. 7
... Fui presentato al pittore Caniunt* (in seguito mai più visto) il quale, a sua volta, mi presentò al “maestro” (come affermava lui), che era poi il sensibilissimo artista Ferruccio Pizzanelli. Questi vide i miei lavori e rimase soddisfatto al punto da dirmi di andare pure da lui (anzi, esclusivamente da lui), ché egli solo mi avrebbe instradato all’arte. Cosa che io erroneamente non feci, soprattutto per la mia innata timidezza (che in parte conservo tuttora) e per la soggezione che egli mi incuteva, nonostante l’animo buono, col suo aspetto austero.
Italo Lotti
Nicola Micieli, “Italo Lotti”, Giardini Editore, Pisa 1975
*In realtà si tratta di Jean (Giovanni) Caniaux
1976
Frequentò l’Istituto d’Arte di Lucca e l’Accademia di Firenze. Soggiornò in Lombardia, partecipò alla Primaverile Fiorentina, Biennale di Venezia, Quadriennale di Roma.
Jacoponi – Domenici coordinamento critico Jolanda Pietrobelli
“Pisa e i suoi Pittori”, pag. 106, Edizioni “la Pantera”, Pisa, 1976
1982
Pisa Mostra Celebrativa per 15 artisti pisani scomparsi
Galleria d’Arte Macchi, maggio - giugno
Pizzanelli Ferruccio nacque a Pisa nel 1879 e morì a Pisa nel 1950. Fu uno dei migliori allievi di Giovanni Fattori, sotto la quale studiò all’Accademia di Belle Arti di Firenze. Nel 1907 espose alla “Permanente” a Milano. Partecipò alle maggiori esposizioni italiane; dalla “Primaverile Fiorentina” nel 1922, alla “Quadriennale di Torino” nel 1923, ma in precedenza ricordiamo che era stato invitato anche alla “Esposizione d’Arte di Roma” nel 1911. Le sue opere si trovano nelle Gallerie Nazionali in Italia e all’estero; a Pisa, Latina, Lima; San Paolo del Brasile. Fu anche un ottimo xilografo, ma è difficilissimo reperire le sue opere.
Notes d’Arte a cura della Galleria Macchi
Anno VII n. 5, Pisa maggio 1982
1983
Pisa Immagini d’Arno dalla pittura pisana fra le due guerre,
Palazzo Lanfranchi, 10-23 maggio
1. Pisa nel 700 o Ponte di Mezzo
2. L’Arno al Tondo
3. Fine di un giorno sull’Arno
4. Le rovine del Ponte della Vittoria
...
Si pensi ai rapporti tra Spartaco Carlini e Lorenzo Viani; ai soggiorni di lavoro di Ferruccio Pizzanelli a Torre del Lago, e quindi all’influenza di Moses Levy...
... Una sottesa volontà di disciplina formale, di composto ordine visivo presiede al vedutismo di Carlini nel Lungarno-Ponte Solferino in collezione Rossi, di Ascanio Tealdi, di Eugenio Sementa, Gino Bonfanti, Ferruccio Pizzanelli, Federigo Severini, ma sempre pervaso d’una impalpabile vibrazione pittorica, ora squisitamente tonale e di raffinato impasto, che è il caso di Pizzanelli, ora a stesure delicate a sortire effetti di incantamento, come in Bonfanti…
Nicola Micieli
“Immagini d’Arno - Dalla pittura pisana tra le due guerre”
A cura del Comune di Pisa e Arci/Arti visive, Pisa, maggio 1983
1984
“Figura femminile col grande cappello” (disegno).
Fu allievo di Fattori all’Accademia di Belle Arti di Firenze. Espose a tutte le grandi mostre nazionali. Espose anche S. Paolo nel Brasile e a Lima. Coltivò la xilografia e l’incisione su pelle. Illustrò Pisa insistendo molto sul pittoresco Canale dei Navicelli nel tratto cittadino ormai scomparso. Belli sono anche i suoi ritratti. (pag 2514 del Comaducci, Vol IV, IV edizione).
“Raccolta Vallerini, Catalogo Generale”
Catalogo della Raccolta Vallerini donata alla Cassa di Risparmio di Pisa
a cura di Dino Carlesi, Pisa 1984
1985
Pisa Mostra Itinerante di 100 opere del novecento da collezioni pubbliche
del territorio pisano, a cura di Nicola Micieli, della Provincia di Pisa,
di ARCI/Sezione Arti Visive, Palazzo Lanfranchi, maggio-dicembre
1. Pisa nel 1700 o Ponte di Mezzo
…di Ferruccio Pizzanelli, collaboratore di Galileo Chini…
…altri suggerimenti potrebbero riguardare: i rapporti di Ferruccio Pizzanelli con Galileo Chini e i successivi soggiorni a Torre del Lago, la conoscenza e l’influenza di Moses Levy…
Nicola Miceli
100 opere del Novecento, Inventario dei beni artistici del novecento di proprietà degli Enti pubblici pisani - Mostra Itinerante a cura della Provincia di Pisa, maggio-dicembre 1985
a pag.52 una scheda biografica dedicata all’artista
1987
Di Ferruccio Pizzanelli, artista pisano, ben poco è stato detto e studiato, nonostante l’attiva ripresa degli interessi della critica per il settore delle arti applicate tra l’Ottocento e il Novecento.
Merita subito rilevare che nel campo della decorazione del cuoio, il Pizzanelli raggiunse una posizione di preminenza ben presto riconosciuta da molti ambienti artistici, anche internazionali, a lui contemporanei.
La sua prima formazione avviene a Pisa, la città natale; di essa avvertirà prontamente lo stagnante provincialismo, incapace di fornirgli l’humus culturale favorevole ad accogliere e maturare le nuove istanze moderniste. Contrariamente al pittore Spartaco Carlini, suo concittadino e amico, che rimarrà invece fortemente vincolato alla città pisana, il Pizzanelli è cosciente di poter contribuire in modo incisivo al nuovo movimento di riforma, denominato in Italia - Liberty -, solo trasferendosi in ambienti dalle condizioni culturali ed economiche più favorevoli.
Ed è proprio a Firenze, negli anni a cavallo tra l’Ottocento e il Novecento, che egli riesce a maturare le qualità che lo porteranno ad imporsi con una personalità fortemente caratterizzata nel suo campo delle arti decorative.
I suoi contatti col modernismo internazionale avvengono, a Firenze, principalmente attraverso l’influenza di Galileo Chini, tra i più pronti in Italia a recepire il nuovo modo di intendere l’arte. Questi, già nel 1896, aveva fondato, proprio nel capoluogo toscano, una manifattura di maioliche, “L’Arte della Ceramica”, la cui produzione, di straordinaria qualità, costituisce nel nostro paese uno dei più significativi e più precoci esempi di “rinascita”delle arti applicate.
Con l’aiuto del Chini, il Pizzanelli viene introdotto in ambienti artistici ufficiali attraverso commissioni per allestimenti di mostre. A tale riguardo si può ricordare che il Chini richiese la sua collaborazione per i complementi di arredamento, in cuoio decorato, per l’allestimento della Sala del Sogno della Biennale veneziana del 1907.
Già l’anno prima, però, il Pizzanelli aveva mostrato il suo talento, in occasione dell’esposizione milanese del Sempione, con una serie di lavori caratterizzati da uno spiccato senso dell’ornato e da una originale freschezza di ispirazione.
Se poniamo l’attenzione su alcune di queste opere, come per esempio il pannello decorato con la figura di una donna-sacerdotessa, si è subito colpiti da come il nitore e la leggerezza del segno riescano a togliere ogni pesantezza ai volumi facendo trasparire in tutto l’insieme compositivo un senso di raffinata eleganza.
Con le sue realizzazioni, Ferruccio Pizzanelli si rivolge al mondo della quotidianità: cuscini, borse, scatole, pannelli decorativi, cestini, ecc. In questo sembra proprio seguire gli insegnamenti morrissiani, che volevano che gli artisti impegnati in una produzione di elevata qualità, anche per circondare l’uomo di cose belle, che in tal modo contribuissero a rendergli più gioiosa e confortevole la vita.
L’assimilazione del nuovo credo artistico, almeno negli anni antecedenti alla prima guerra mondiale, porta il Pizzanelli a divenire un personaggio di spicco nel panorama delle arti applicate. Di ciò si ha la conferma anche dalla prestigiosa rivista inglese The Studio, che in occasione dell’esposizione torinese del 1911, riporta: “Un’altra interessante personalità è il Sig. Ferruccio Pizzanelli, un giovane artista che lavora nel cuoio e che recentemente ha preso la direzione della Società Milanese dei Cuoi Decorati. Le creazioni in cuoio del Sig. Pizzanelli, presentate a Torino dalla Società Milanese, hanno incontrato un grande successo; la delicatezza dei suoi motivi, la loro esecuzione con agile modellatura e gradevole colore suscitano grande ammirazione”.
In effetti il repertorio decorativo più consueto è costituito da motivi naturalistici di matrice giapponese, che nella loro elegante disposizione compositiva acquisiscono una maggiore delicatezza dal fine ritmo dell’arabesco che ne individua gli elementi formali. Anche la grafica inglese ed in particolare le illustrazioni di Aubrey Beardsley, sembrano affascinarlo. A queste, l’artista unisce spesso accenti di derivazione germanica come l’utilizzazione di una linea dal ritmo sinuoso e morbido alla maniera delle illustrazioni della rivista monacense Jugend. Anche i motivi decorativi geometrizzati, alla maniera degli artisti della Secessione viennese, sono spesso presenti nella sua produzione. La propensione per tali moduli ornamentali è comune a molti artisti dell’epoca ed in particolare anche Galileo Chini che, nelle maioliche e nei grès prodotti nella sua nuova fabbrica di Borgo S. Lorenzo nel Mugello, tende ad abbandonare gli ornati di tipo naturalistico per adottarne altri dalle evidenti riduzioni formali vicine alle suggestioni di Klimt o di Hoffmann. E’ il caso di dire che il gusto viennese riscontrabile in alcuni oggetti di Ferruccio Pizzanelli è sovente mediato proprio dalle ceramiche di Galileo Chini.
Dopo l’esperienza milanese, il ritorno a Pisa, durante la prima guerra mondiale, si accompagna ad un interesse sempre meno esclusivo per i lavori in cuoio a favore della pittura. Questo probabilmente è dovuto alla presenza, a Torre del Lago, del noto cenacolo artistico che raccoglieva attorno alla figura di Giacomo Puccini varie personalità del campo della musica, della letteratura e dell’arte. Ciò nonostante rimangono ancora numerose le occasioni di occuparsi della decorazione del cuoio.
Purtroppo le conseguenze del mutar del gusto dopo le “bizzarrie” del Liberty e l’ambiente pisano privo di una committenza incline ad accettare novità, inducono l’artista a seguire un iter più convenzionale, con risultati meno entusiasmanti rispetto a quelli ottenuti nei primi anni del Novecento, scaturiti dalla spontanea esigenza di esprimere la propria modernità.
Molto resterebbe da dire sulla personalità del Pizzanelli, sulla determinazione delle sue radici artistiche, sugli importanti legami con l’ambiente fiorentino, con quello milanese e con la cultura europea del suo tempo. In questa breve nota ho voluto portare all’attenzione del lettore, in forma preliminare, solo alcuni di questi problemi, consapevole che ben più ampio studio debba essere dedicato alla comprensione di questo artista dalla produzione significativa nel panorama delle arti applicate del Liberty Italiano.
Gilda Cifariello Grosso
“Ferruccio Pizzanelli e l’arte del cuoio decorato”
Orizzonti Pisani, Bollettino di informazione interna del circolo
ricreativo, sportivo e culturale “LIBERITALIA”, Pisa, Novembre 1987
Pisa Rassegna artisti pisani contemporanei scomparsi,
Galleria Macchi, 18 ottobre-3 novembre,
1995
Pisa “Da Boccadarno al Calambrone: il litorale pisano nella pittura
del novecento” , Centro Arte Moderna, giugno
Tra le due guerre gli artisti pisani preferirono svolgere temi legati alla rappresentazione del paesaggio, più che dedicarsi a raffigurazioni allegoriche impregnate di retorica (anche se di classe): l’Arno, le Piagge e il mare furono tra i temi prediletti. Alcuni dei loro dipinti “marini” sono stati qui proposti o semplicemente evocati: non si tratta tanto di temi occasionali per una gita fuori-porta, ma di una costante ambientale, d’un atmosferico lirismo, di un sottile fil rouge che però non riesce – ancora una volta – a coagularsi nel senso di una scuola. Qualche esempio: Ferruccio Pizzanelli, che riesce ad essere deliziosamente decorativo (ricordandosi forse ancora dell’esempio del maestro Chini) nei due olii, quasi pastellati, dell’Azienda di Promozione Turistica.
Lucio Scardino
“Da Boccadarno al Calabrone: il litorale pisano nella pittura del novecento”
Mostra presso il Centro Arte Moderna (Pisa) con collaborazione Provincia di Pisa, Associazione
Tosco-Sarda Arte e Artigianato, Edizioni Liberty House giugno 1995,
pag. 24, illustrazione pagg. 58,59
1996
…Sulle pareti figurano quadri di autori francesi e italiani: tra tutti spiccano due pastelli di Ruggero Savinio, S.te Anne, la chapelle di Blanche Camus, La passeggiata di Jules Veron-Farè (1877) e lo splendido olio su tela Riviera adriatica dipinto nel 1919 dal Pizzanelli.
“Il salotto vestito d’estate”
Architectural Digest. Le più belle case del mondo
n. 180, Mondadori, Milano , maggio 1996, pag.120, illustrazione pag.119
Pisa Mostra Collettiva, Galleria Macchi, giugno
Nasce a Pisa Ferruccio Pizzanelli, ivi morirà nel 1950. Ero amico di Ferruccio, ma lo eravamo tutti coloro che lo conoscevano per il suo carattere sereno per la sua cordialità che ispirava una grande simpatia. Proveniva dall’Accademia di Belle Arti di Firenze ove aveva compiuto l’alunnato sotto la direzione di Giovanni Fattori. Infatti la sua opera è da annoverare tra le migliori della Scuola dei Macchiaioli della seconda generazione, quando molti artisti già stavano volgendosi verso l’intendimento più largamente europeo dell’impressionismo.
Il Pizzanelli è ben noto agli studiosi ed ai collezionisti più attenti. Essi sanno benissimo che nel 1907 espone alla Permanente di Milano, nel 1911 alla Primaverile Fiorentina, nel 1922 alla Quadriennale di Torino, ecc. Le sue opere sono nei musei e nelle gallerie anche a Pisa e all’estero. Con questa breve annotazione nella circostanza della “Prima Promozionale 1966” abbiamo voluto ricordare Ferruccio Pizzanelli, pittore pisano tra i migliori del suo tempo, con la convinzione che non sia lontana l’ora del suo appuntamento con la storia per un più alto riconoscimento dei suoi meriti.
A.M.(Alfredo Macchi)
Galleria Macchi, Pisa 1996
1998
Negli anni cinquanta incontravo, di consueto, alcuni amici che s’interessavano, come me, di poesia e arti visive, nella saletta Bar Carli, in Borgo Stretto, dove venne fondato, nel 1956, il Gruppo Artistico Letterario “La Soffitta”. Un bar elegante, di stile Liberty, gestito, con naturale gentilezza, dal proprietario stesso che si rivelò anche un sincero appassionato della buona pittura. Nella parete più ampia del bar non potevano passare inosservate due suggestive “vedute” di Pisa, di Ferruccio Pizzanelli, che davano ulteriore prestigio all’ambiente. In quegli anni, nei bar di Pisa, era veramente insolito (purtroppo anch’oggi) vedere quadri, tanto meno di buoni autori, anche pisani. Il signor Carli s’accorse del mio interesse per le due opere di Pizzanelli e non nascose il suo compiacimento, confessando di essere un ammiratore del pittore pisano e di averne altre nell’appartamento. Non ricordo in che data fossero state eseguite quelle opere, ma certamente dovevano essere della maturità: il modo di comporre s’era fatto stile personale, riconoscibile sia per la chiarezza e la forza costruttiva, sia per la finezza cromatica. Due opere che traducevano con serenità poetica la bellezza “intramontabile” dei nostri Lungarni.
Pizzanelli, nato a Pisa del 1879, frequentò l’Istituto d’Arte di Lucca e l’Accademia di
Firenze, come allievo di Fattori di cui non dimenticò certi insegnamenti basilari come il rigore del disegno e la plasticità formale. Ebbe da lui incoraggiamento alla sua naturale passione per il ritratto. Si trasferì a Milano dal 1907 al 1913. Prese parte attiva alla vita artistica della città, nella quale aveva esordito nel 1906, alla Mostra Internazionale, con lavori in cuoio colorato, trattati a sbalzo, con fregi decorativi, sempre molto apprezzati per preziosità tecniche formali di matrice Liberty. A Milano collaborò con G. Chini nell’arte della ceramica. Nel 1907 esposte alla Biennale di Venezia in collaborazione con G. Chini e P. Nomellini. Fu presente in varie mostre di arte decorativa, anche a Torino (1908-1911) cogliendo ampi consensi. Pizzanelli, in quei fecondi anni milanesi, non tralasciò di portare avanti anche la pittura, che, fin dalle prime prove, era andata svolgendosi nell’ambito di una consapevolezza compositiva di ordine impressionista, coniugata su registri di una chiara sensibilità coloristica. Tornò a Pisa nel 1913, ma dal 1916 al 1924 soggiornò a Torre del Lago, dove conobbe e frequentò Viani, Carlini, Vittorini, Levy, Puccini, Pea ed altri. I frequenti contatti con essi giovarono senz’altro alla sua pittura che andò intensificandosi costruttivamente, staccandosi da quel suo consueto modo di comporre. Affrontò anche la xilografia. Rimangono a testimoniare questo suo nuovo impegno, tra le altre, le 14 xilografie illustranti un libro di poesie “Il convegno dei sogni” di O. Checchi per le Edizioni Noccioli di Empoli, nel 1918. Pizzanelli fu presente nel 1921 alla Primaverile Fiorentina, nel 1922 alla Nazionale nel Palazzo delle Esposizioni del Parco S. Gallo a Firenze, nel 1923 alle Quadriennali Romana e Torinese, con opere che segnano (come scrisse Mario Tinti, nel catalogo della mostra del 1921) un vero rinnovamento. Le opere, figure e paesaggi, venivano, infatti, ad imporsi per una solidità strutturale più decisa, per maggiore forza interpretativa e finezza cromatica, lasciando scoprire certi valori non transitori, non effimeri del “reale”. E’ di quegli anni, precisamente del 1922, l’opera: “Donna di Torre del Lago” di cui Bellonzi nella recensione alla personale di Pizzanelli, al Palazzo della Giornata, a Pisa, nel 1932, sottolineò il valore: “ci richiama alla mente i fiorentini del ‘400 e chi fece, davanti ad essa il nome di Masaccio, diede nel vero perché sono, in quella figura, la saldezza e la demolizione del particolare, proprie del grande fiorentino”. Tornato a Pisa, Pizzanelli, dopo il 1924, continuò con immutato impegno a dipingere, riuscendo, nel tempo, fino all’ultimo, a mantenere, anche se in modo non troppo costante, quel livello di stile raggiunto, dandoci opere che si valorizzarono, con grande forza espressiva e poetica, per la sintesi formale, la finezza tonale, da cui emergeva (filtrata dalla lezione macchiaiola, soprattutto di Fattori), la lezione del ‘400 toscano. Pizzanelli non trascurò, del tutto, i lavori decorativi su stoffa e cuoio, affrontando anche temi sacri, con rese significative. Si guadagnò grande stima come artista, ma si fece conoscere ed apprezzare anche come Segretario fiduciario del Circolo “Professionisti Artisti Pisani” e come abile organizzatore di mostre che videro, più volte, riuniti in collettive, tanti pittori pisani e toscani. Pizzanelli ebbe modo di incontrare con frequenza Carlini, Pizzarello, Viviani, Tealdi, Santochi, pronto a dibattere problemi d’arte, a volte con l’autorevole presenza di M. Marangoni. Tali incontri avvenivano, davanti alla Sapienza, nella Saletta attigua alla cartoleria Gino Toncelli (uomo aperto e sensibile all’arte) nella quale convenivano, con i pittori, i più bei nomi del mondo culturale pisano. Dal 1932 al 1946, Pizzanelli fu presente in numerose mostre. Si dedicò anche all’affresco, di cui rimangono, nell’Aula Magna della Facoltà di Agraria di Pisa, due esempi: “Il seminatore” e “La contadina”, risolti con intento celebrativo, ma di notevole espressività e significato (1930).
Pizzanelli morì a Pisa nel 1950, lasciando una nutrita serie di opere, molte delle quali figurano in collezioni pubbliche e private ed in alcuni importanti Musei. Nel 1971, al Museo di S. Matteo, nella grande mostra itinerante “Omaggio agli Artisti scomparsi” realizzato dall’E.P.T. con la collaborazione del Comitato Giugno Pisano, vidi, con piacere, anche alcune sue opere: “Ritratto di signora” del 1931, “Ritratto di giovane signora”, “Natura morta” del 1942. Testimoniavano ancora in modo inequivocabile, l’alta misura delle sue doti di artista.
Bibliografia: Cento opere del Novecento da collezioni pubbliche del territorio pisano, a cura di N. Micieli, 1985; Catalogo Mostra itinerante, 1971,Omaggio agli Artisti scomparsi; Ente Provinciale per il Turismo di Pisa; Athos Valori, La bottega Storica der Sor Gino, “Er Gobbo, “1994
Plinio Bianchi
“Ferruccio Pizzanelli un artista eclettico”, Dalla rivista “Er Gobbo”, A. IX, n.1; Pisa gennaio-aprile 1998
S.Croce sull’Arno Arte a Pisa nel II dopoguerra, eventi e protagonisti
per Uliano Martini,
a cura di Nicola Micieli, Villa Pacchiani, 7 marzo-5 aprile
1. Magazzino
…A Ferruccio Pizzanelli, collaboratore di Galileo Chini..
…Per esempio i rapporti con Galileo Chini di Ferruccio Pizzanelli (sensibilissimo pittore qui rappresentato con una natura morta di assolutezza quasi metafisica, non a caso ad analogo soggetto e impianto dedicherà un intero ciclo Uliano Martini), i suoi successivi soggiorni a Torre del Lago e la conoscenza influente di Moses Levy…
Nicola Micieli
Arte a Pisa nel II dopoguerra, eventi e protagonisti per Uliano Martini - 7 marzo-5 aprile 1998
Firenze Mostra di Ferruccio e Leonardo Pizzanelli
Galleria Lucia Burgassi
29 ottobre-15 novembre,
Non si può che lodare la scelta di dedicare una mostra esemplare a Ferruccio Pizzanelli e al di lui figlio Leonardo, pittori egualmente dotati di probità tecnica e di esprit de finesse, sicché non s’avverte cesura o attrito generazionale nelle loro vicende, che pure hanno sostanzialmente occupato le opposte metà del nostro secolo.
L’esposizione fiorentina è oltremodo propizia. Lo è per una serie di motivi che la brevità di questa nota impedisce di illustrare. Tra gli altri, ricordo che ci offre l’opportunità di conoscere meglio due artisti pisani (ma Leonardo nacque a Viareggio nel 1920) di rara qualità, giustamente apprezzabili oggi che la contingenza epocale ha rilanciato il gusto per la pittura, e intendo quella che trova all’interno dei propri codici linguistici e della propria storia lo spunto e la materia per rinnovarsi…Ferruccio Pizzanelli… si era formato all’Istituto d’Arte di Lucca e perfezionato all’Accademia di Firenze, con Giovanni Fattori. Aveva quindi compiuto esperienze importanti con incontri e partecipazioni a Milano, Venezia, Torino, Pisa, la Versilia e Firenze, partecipe di una cultura artistica ad ampio spettro, dalle arti decorative (notabile la collaborazione con Galileo Chini) alla pittura tendenzialmente novecentista, declinata in una chiave elegiaca, incline alle soluzioni puriste e tonali piuttosto che espressioniste e sintetiche in senso plastico… I dipinti ed i disegni di Ferruccio e Leonardo Pizzanelli, pur nella brevità di una mostra che non vuol ricostruirne l’articolazione e lo sviluppo attraverso la prima e la seconda metà del nostro secolo, sono opere d’arte che attestano la serietà e l’autenticità creativa di due artisti i quali hanno saputo cogliere dalla natura le occasioni ispiratrici, attingendo alla sapienza tecnica e alla proprietà stilistica le qualità necessarie e permutarle in segni e figure di poetica risonanza interiore.
Nicola Miceli
Presentazione della Mostra di Ferruccio e Leonardo Pizzanelli
Galleria d’Arte Lucia Burgassi, Firenze 1998
Presentata da Nicola Micieli, si apre domani alla Galleria L. Burgassi, in via della Scala 8 a Firenze la mostra dedicata a Ferruccio Pizzanelli ed al figlio Leonardo.
Ferruccio Pizzanelli, nato a Pisa nel 1879, allievo di Giovanni Fattori, aveva compiuto importanti esperienze con incontri e partecipazioni a Milano, Venezia, Torino, Pisa, la Versilia e Firenze. Una intensa attività artistica che lo aveva portato a stringere legami di amicizia con numerosi pittori fra cui si ricorda Galileo Chini, Plinio Nomellini e Moses Levy nella Torre del Lago di Puccini e degli artisti del cosiddetto “Club della Boheme”. Attivo a Pisa per lunghi anni, ha partecipato a due edizioni della Biennale di Venezia e sue opere sono in numerose raccolte pubbliche e private. Una mostra che si colloca a 50 anni dalla sua ultima personale, a Pisa, alla Saletta Toncelli.
“Ferruccio Pizzanelli una retrospettiva”
La Nazione, Pisa 28 ottobre 1998
I Pizzanelli sono pittori da tre generazioni. Lucia Burgassi ne presenta due, nella sua galleria di via della Scala 8, mentre il terzo, Lorenzo, ha avuto una serata tutta per sé sabato alle Giubbe Rosse. Lucia Burgassi è riuscita a recuperare ben 30 opere, quasi tutte inedite, del capostipite Ferruccio (nato a Pisa nel 1879 e morto a Pisa nel 1950) e 40 del figlio Leonardo… Il padre Ferruccio… cominciò come macchiaiolo frequentando le lezioni di Giovanni Fattori all’Accademia per diventare un pittore del Novecento toscano per i contatti con la Viareggio di Viani, Chini e Levy, ma soprattutto con il gruppo della Boheme di Torre del Lago di cui facevano parte Nomellini, Ghiglia e Lloyd.
Nicola Coccia
La Nazione, “La Bottega dell’arte”, Firenze 11 novembre 1998
Pisa Incisione pisana del ‘900, eventi e protagonisti
a cura di Nicola Micieli. Limonaia Palazzo Ruschi
29 dicembre 1998-24 gennaio 1999
…Umberto Vittorini, Spartaco Carlini e Ferruccio Pizzanelli tra le personalità emergenti…Un cenno va sicuramente riservato a Ferruccio Pizzanelli, artista sensibile e delicato, allievo di Fattori a Firenze, quindi versatile collaboratore di Galileo Chini, a Milano. Rientrato a Pisa nel 1913, Pizzanelli deve orientarsi su una pittura dai sapienti registri tonali, prendendo a frequentare Torre del Lago e il novero degli artisti ruotanti intorno a Giacomo Puccini. Dobbiamo proprio a Pizzanelli uno dei pochi documenti reperibili d’incisione pisana dei primi decenni. E’ una serie di xilografie di filo che illustrano un libro di poesie con uno spirito tra esotico e sognante di gusto più gauguiniano che liberty, ma mantenendo una certa scioltezza anche immediata d’intaglio, che rende le piccole tavole assai fresche e spontanee.
…Uno dei primi potrebbe essere quello della collaborazione, cui si accennava, di Pizzanelli con Galileo Chini…
Nicola Micieli
“Incisione Pisana del 900, eventi e protagonisti”.Mostra promossa dalla Provincia di Pisa,
Bandecchi e Vivaldi Editore (Pontedera) 1998 (ill. pag.11)
1999
...La ricostruzione storica incentrata essenzialmente su Viviani non dimentica figure di artisti come Vittorini, Rosi, Pizzanelli, tanto per citare alcuni del primo ‘900 e la sezione sugli artisti del secondo 900 annovera tutti coloro che operano nella provincia....
Paolo Tesi, Viviani in mostra maestro ritrovato”. la Repubblica, Firenze 23 gennaio 1999
I Gioli, Francesco il più talentuoso, dopo l’indirizzo scelto durante la frequentazione all’Accademia di Firenze, si avvicinò ai macchiaioli sviluppando delle tematiche di vita contemporanea. Luigi che arrivò alla pittura non più giovanissimo, dopo i primi passi accanto al fratello, se ne distingue per la visione intimistica della materia, dote questa che non è materia per Ferruccio Pizzanelli, sempre impegnato alla suggestione dell’effetto pittorico, dove trasfonde il meglio di se stesso.
Enrico Dei. La Versilia dipinta, la “scuola pisana”
Dal catalogo della mostra “Alla ricerca dell’Eden” a cura del Comune di Seravezza
Seravezza 10 luglio – 26 settembre 1999 (pag.34)
2000
Compaiono in questo libretto, che esce nell’occasione della mostra retrospettiva esemplare di Ferruccio Pizzanelli alla galleria Bagno di Nerone di Simone Vallerini, testimonianze critiche, brevi stralci da articoli a stampa, schede biografiche da repertori d’epoca, note di presentazione ed elenchi di opere desunte dai cataloghi soprattutto delle “sindacali” provinciali e toscane dell’epoca fascista, relativi all’attività espositiva di questo Maestro tra i più rappresentativi del primo Novecento pisano, eppure poco e ancor meno rappresentato nelle rassegne, anche abbastanza comprensive, che si tengono, di tanto in tanto, sulle vicende artistiche del periodo nella nostra regione.
E’ un materiale visibilmente frammentario, raccolto con pazienza ma non sistematicamente, in parte dal nipote dell’artista, Fabrizio Pizzanelli, nel corso degli anni e tra i non molti documenti di famiglia, in parte dallo scrivente attraverso lo spoglio di riviste e giornali d’epoca e nella sezione pisana del proprio archivio, peraltro non consultato compiutamente, e dunque certo ancora capace di fornire ulteriori informazioni. Quel che si legge è molta parte della letteratura critica e della documentazione bibliografica, catalogica ed emerografica sulla presenza artistica di Pizzanelli durata circa un cinquantennio. E’ molto ma non è tutto, beninteso: lascia intravedere una personalità quanto meno di interesse toscano ma non rende l’immagine complessiva di un pittore che, al contrario, è stato tra i più sensibili e avvertiti del suo tempo, vissuto fuori dai clamori mondani, per lo più a Pisa e in Versilia, dopo il soggiorno milanese che segnò il suo fortunato esordio alla Permanente, nel 1906, con cuoi incisi, punzonati e dipinti subito segnalati dalla stampa come una bella novità d’arte applicata, nello spirito liberty, e riproposti l’anno successivo alla Biennale di Venezia, nella celebre “Sala del Sogno” di Galileo Chini e Plinio Nomellini, dei quali Pizzanelli fu amico e collaboratore.
Non mancano, tra le voci critiche qui documentate, nomi notevoli anche celebri. Cito Raffaello Franchi, Enzo Carli, Aniceto del Massa, Fortunato Bellonzi, premesse autorevoli dai cui unanimi giudizi di probità artistica occorrerebbe partire per una ricostruzione finalmente completa e circostanziata della vicenda formativa, dell’evoluzione e della posizione di questo appartato Maestro, cui si riconosce senza eccezione la virtù di un dettato pittorico delicato e nobile, condotto con spirito tonale attento ai valori della luce che modula dolcemente la materia, egualmente distante tanto dalla riduzione sintetica della forma nello spirito neoprimitivo dei Valori Plastici e di Novecento, quanto dalla sua frammentazione e dissipazione operata dagli epigoni dell’impressionismo, in Toscana variato nella dizione postmacchiaiola cui Pizzanelli fu estraneo, pur essendo stato discepolo di Giovanni Fattori a Firenze.
Invero, da Fattori Pizzanelli ereditò l’attenzione al disegno netto e vigoroso, non la lezione della ”macchia” sia pure larga e ordinata in un insieme costruttivo alquanto concreto. Dopo le prove scolastiche e di formazione, le frequentazioni fiorentine di Pizzanelli si orientarono presto , tra lo scorcio dell’Ottocento e i primi del Novecento, in direzione modernista, nella versione liberty cui fu iniziato da Galileo Chini, fondatore di una celebre manifattura ceramica e divulgatore di uno stile decorativo di alta valenza estetica e di grande fortuna sul piano del gusto corrente. Seguì il periodo milanese dei cuoi, cui si è accennato, durato fino al rientro a Pisa nel ’13. Nella città natale ritrovata, Pizzanelli maturò il convincimento di consacrarsi alla pittura, abbandonando i cuoi che pure avevano incontrato i favori degli intendenti e costituirono un importante contributo alla ricerca estetica sui materiali e sulle tecniche applicati agli oggetti d’uso.
Nella pittura egli pervenne in breve a un linguaggio misurato e gentile, nel quale il disegno toscano di impianto costruttivo e di definizione della forma si coniuga con una sensibilità cromatica di rara finezza, caratteristiche di linguaggio e di stile che rimarranno sostanzialmente immutate nel seguito degli anni e nei diversi generi canonici affrontati: dal paesaggio alla veduta urbana, dalla composizione di figura al ritratto alla natura morta. E’ da segnalare anche il suo contributo di xilografo alla storia dell’incisione pisana nel Novecento e quello, del tutto inedito di fotografo, documentato da poche stampe rimaste, peraltro pregevoli per inquadrature e ricerca di luci filtranti sulle figure e gli oggetti, nell’ambiente soleggiato della marina di Vecchiano e di Torre del Lago, dove Pizzanelli cominciò a recarsi con una certa regolarità, dopo il ritorno pisano.
I soggiorni a Torre del Lago costituiscono un altro importante capitolo della sua vicenda, soprattutto per gli incontri stimolanti con gli artisti viareggini e versiliesi, ad esempio Moses Levy, e quelli raccolti intorno a Giacomo Puccini e a Plinio Nomellini, all’interno e nei dintorni del celebre “Club della Bohème”. In seguito, con l’avvento del fascismo e l’organizzazione del sindacato degli artisti, Pizzanelli svolse un prezioso ruolo di animazione e organizzazione delle mostre sindacali, in quanto segretario e fiduciario per le arti, riscuotendo unanimi consensi in virtù dell’equilibrio che seppe mantenere nel suo operato e dello spirito di iniziativa, portando a Pisa opere di artisti noti in ambito nazionale, e consentendo agli artisti pisani di accedere a momenti espositivi di grande prestigio e visibilità nella loro città e fuori.
Come si vede, quelle indicate sono direzione praticabili di ricerca che occorrerebbe percorrere non solo al fine di delineare con maggior nitore di quanto non sia possibili fare al presente, il profilo artistico di Pizzanelli, la sua evoluzione, la posizione nel panorama dell’arte applicata e della pittura toscana del Novecento, ma per meglio conoscere il contesto locale in cui operarono eminenti personalità (cito tra tutte quelle di Amedeo Lori, di Spartaco Carlini, di Ascanio Tealdi, di Curzio Rossi, di Salvatore Pizzarello e, tra le altre più note, di Giuseppe Viviani e di Mino Rosi) verso le quali posso affermare che la città di Pisa è in debito di conoscenza e di riconoscenza, per il lascito di poesia che ha ricevuto dalle loro opere oggi per buona parte sommerse e dimenticate.
Nicola Miceli
“Scritti per Ferruccio Pizzanelli” a cura di Fabrizio Pizzanelli
In occasione della mostra presso la Galleria Simone Vallerini, Pisa, giugno 2000
Bandecchi e Vivaldi Editore (Pontedera)
Pisa Mostra personale, Galleria Simone Vallerini, 15-30 giugno
1. Bagnanti sulla spiaggia (1919), olio su cartone cm.62x52. Viareggio, collezione privata
2. Sulle dunette (primi anni ’20), olio su cartone cm.18,5x23,5. Pisa, collezione privata
3. Natura morta con frutta e tazza blu (primi anni ’20), olio su cartone cm. 49x47,5. Pisa, collezione privata
4. Gigli (primi anni ’20), olio su cartone cm. 39,5x48,5. Pisa, collezione privata
5. Fiori in un vaso bianco (primi anni ’20), olio su cartone cm. 44,5x63. Pisa, collezione privata
6. Vaso con fiori gialli e rosa (primi anni ’20), olio su cartone cm.44,5x63. Pisa, collezione privata
7. Vaso con fiori chiari (anni ’20), olio su cartone cm.48x46. Pisa, collezione privata
8. Mazzo di fiori (anni ’20), olio su tela cm. 26x40,5. Pisa, collezione privata
9. Donna di Torre del Lago (1924) olio su cartone cm.47x57. Pisa, collezione privata
10. Ritratto di ragazzo (metà anni ’20), olio su cartone cm. 34x44. Firenze, collezione privata
11. Ritratto di Lina (metà anni ’20), olio su tela cm.46,5x56. Pisa, collezione privata
12. Chiesa della Spina prima dei restauri (1931), olio su cartone cm.39x32,5. Pisa, collezione privata
13. Adolescente (ragazzo con fazzoletto rosso, 1932) olio su cartone c.46,5x55,5. Pisa, collezione privata
14. Le Piagge (anni ’30), olio su cartone cm.45,4x32,5. Pisa, collezione Camera di Commercio
15. Cantiere (I navicelli da Pallino sul Lungarno di Terzanaia, anni ’30), olio su tavoletta cm.33x24. Livorno, collezione privata
16. Ritratto della moglie (Emma, metà anni ’30), olio su cartone cm.50,5x60. Pisa, collezione privata
17. Libecciata a Marina di Pisa (anni ’30), olio su cartone cm. 31,5x21. Pisa, collezione Azienda del Gas
18. Sul mare (anni ’30), olio su cartone cm. 45,7x34,2. Pisa, collezione Camera di Commercio
19. Vaso con fiori (anni ’30), olio su cartone, cm. 41,5x49,5. Lucca collezione privata
20. La Cittadella (anni ’30), olio su cartone cm. 31 x39,5. Pisa, collezione privata
21. Fiume Morto (anni ’30), olio su tela cm. 60x80. Pisa, collezione privata
22. Paese a Porta di Lucca (anni ’30), olio su cartone cm. 22,5x30. Pisa, collezione privata
23. Bosco a San Rossore, (anni ’30) olio su cartone cm. 43x50. Pisa, collezione privata
24. Veduta dei Lungarni con Ponte Solferino e Cittadella (anni ’30), olio su cartone cm. 44,5x34,5. Pisa, collezione privata
25. Paese Pisano (paesaggio con vista dei Monti Pisani, metà anni ’30), olio su tela cm. 80x60. Pisa, collezione della Cassa di Risparmio di Pisa
26. Marina di Pisa (1937), olio su tela cm. 50x44,5. Pisa, collezione Camera di Commercio (sul retro reca l’etichetta della partecipazione alla II Mostra del Sindacato Nazionale Fascista Belle Arti, Napoli 1937)
27. Composizione: ceramica e frutta, (1938), olio su cartone cm. 58x46,5. Pisa, collezione Camera di Commercio (sul retro reca l’etichetta della partecipazione alla X Mostra Interprovinciale del Sindacato Fascista Belle Arti, Firenze, 1938)
28. Magazzino (1939), olio su cartone, cm. 63,5x47, Pisa, collezione privata
29. Paesaggio di Montagna (1943), olio su cartone cm. 34x42. Pisa, collezione privata
30. Rovine del ponte Solferino (1945), olio su cartone cm. 30x40. Pisa collezione privata
31. La Passerella (rovine del Ponte di Mezzo, 1945), olio su cartone cm. 30x40. Pisa collezione privata
Nella mostra sono presenti oggetti in cuoio ed una scultura in terracotta (primi anni ’20, h. cm. 43) che ritrae Ferruccio Pizzanelli a figura intera opera di Decimo (o Decio) Passani
2001
Senza eco i pur brillanti esordi di Ferruccio Pizzanelli, che presenta i “cuoi bulinati” all’Esposizione Internazionale di Milano nel 1906 per poi partecipare all’allestimento della Sala del Sogno alla Biennale veneziana del 1907 con tende e cuscini dai motivi secessionisti…(Alessandro Tosi, pag. 38)
La vicenda carliniana…appare emblematica per comprendere i destini e le scelte degli altri pisantropi più o meno illustri, da Viviani a Pizzanelli (che con Carlini divide la formazione e gli amori tra la Versilia, Lucca e Pisa)…(Alessandro Tosi, pag. 44)
Quando nell’agosto 1918 la famiglia Tibertelli decide di trascorrere le vacanze a Marina di Pisa, vicino al Cardinale Maffi, per Filippo De Pisis è l’occasione di incontrare, tra Pisa e Viareggio, “una vera schiera di amici pittori e letterati” tra i quali Enrico Pea, Moses Levy, Luigi Salvatori, Lorenzo Viani e Ferruccio Pizzanelli. Ed è proprio la mostra di Pizzanelli a Viareggio che Filippo visita prima di introdurre la mostra “Arte d’avanguardia” al Teatro del Casino con le opere di De Chrico, Levy, Viani, Trampolini, Conti, Carrà, Depero, Lega, Marino Tartaglia e Maria, Maria Teresa e Amadore Porcella. (Alessandro Tosi, pagg.65, 66)
E troppo stilizzati quelli (affreschi ndr) con cui Ferruccio Pizzanelli firma nel 1939 i due pannelli dell’Aula Magna della Facoltà di Agraria, dove l’attenzione a Chini, che nello stesso periodo esegue i cartoni per la Casa del Contadino a Bologna, si risolve in un retorico e smagliante fumettone neorealista (Alessandro Tosi, pag. 95)
La questione delle cosiddette arti applicate fu comunque sviluppata da un’altra bella impresa locale, quella dei cuoi lavorati di Ferruccio Pizzanelli. Questi, dopo il tirocinio all’Istituto d’Arte di Lucca e all’Accademia di Firenze, dove beneficiò delle ultime lezioni di Fattori, ad apertura del secolo anziché inforcare la strada della professione pittorica vide bene di specializzarsi nella lavorazione dei cuoi, che riuscì a trasformare in autentici prodotti d’arte grazie ad una tecnica di sua invenzione e tenuta gelosamente segreta. Nel 1904 esordì così con una “splendida” mostra nel suo laboratorio posto in via S.Maria, dove presentò numerosissimi tipi di oggetti di cuoio decorati con patine indelebili e recanti motivi lavorati a bulino anziché semplicemente impressi. Il segreto del successo consisté nel riscatto di oggetti di banale uso quotidiano (scatole, paraventi, cuscini etc.) mediante ornamentazioni declinate con “teste pensose di guerrieri medievali”, “cavalcate antiche o paesi autunnali”, secondo un gusto insomma che richiamava le formule della cultura morrissiana, un neomedievalismo poco connotato e pochissimo riconoscibile, capace di suscitare una sorta di nostalgia per il passato piuttosto che per quel passato. Il successo di Pizzanelli fu così franco da promuoverlo (dopo un premio conseguito all’Esposizione del Sempione di Milano del 1906, sigillato dalla commissione di una grande cartella donata all’Imperatore di Germania) direttore della Società Italiana dei Cuoi Decorati nella capitale lombarda, che gli valse per gran tempo significative commissioni e soddisfazioni all’altezza, come quella di poter arredare con Chini e Nomellini la celebre Sala del Sogno alla Biennale di Venezia, con una serie di cuscini e tende in cuoio “Abilmente e garbatamente inciso e colorato (…), tale da rallegrare le pupille del più raffinato buongustaio d’arte”. Tornato a Pisa nel 1913, i prodotti di Pizzanelli così ricchi “di fantasia decorativa” cominciarono però ad impoverirsi “in una serie di motivi dissecati e di maniera da sottospecie Art Decò”, fino a far dire, come è stato detto, che “Ancora una volta l’ufficialità sembrò aver travolto, nella montata classicista, le speranze di rinnovamento stilistico del modernismo” Come è stato efficacemente notato, questa involuzione di Pizzanelli fu non a caso determinata da “l’ambiente pisano privo di una committenza incline ad accettare novità”, che indussero “l’artista a seguire un iter più convenzionale, con risultati meno entusiasmanti rispetto a quelli ottenuti nei primi anni del Novecento”, e a passare dunque dai motivi ornamentali di gusto giapponese e Jugend, alla proposta di una cospicua produzione di madonne e santi da mettere a capo del letto, e per giunta assai spesso cavate da originali illustri. La vicenda dei cuoi di Pizzanelli ci sembra dunque riassumere assai bene quegli orientamenti del gusto locale in fatto di arti applicate – le sue chiusure e le sue inerzie vogliamo dire – che tornano buoni anche per ribadire l’esistenza di un clima per niente incline all’accettazione delle novità, men che meno se aggiornatissime. Pizzanelli dunque prese le distanze dai cuoi, pur senza abbandonarli, e piazzatosi a Torre del Lago dal 1916 al 1924, entrò in contatto con l’ambiente artistico versiliese, fino a compiere il gran passo verso la pittura. In questi nuovi panni Pizzanelli s’impose nell’ambiente pisano come uno di quegli artisti che meglio seppero concertare le sollecitazioni della pittura francese del secondo Ottocento con le più moderne sperimentazioni di ambito toscano, espressa in una pittura di paesaggio dai toni chiari e dilavati, che non rinunciava agli appelli della pittura impressionista e perfino cézanniana (penso ad esempio ad una Natura morta esposta nel 1937) restituita però con una compostezza tutta nostra, tutta italiana cioè, con tagli d’immagine numerosi ma ugualmente placati dentro un’indagine naturalistica che non si faceva mai antiaccademica o contestativi. Alfredo Torricini, uno dei suoi primi recensori, bene si accorse infatti quanto il ricorso a Cézanne di Pizzanelli vantasse raffinatezze tutte sue, equilibri sintattici calcolatissimi, gradazioni cromatiche assai studiate, fino all’esito di una personalità che infatti fu poi giudicata come poetica, cioè lirica. E così nelle sue numerose marine torrelaghesi e viareggine sarà ben possibile individuare quei nessi compositivi e quelle scalature cromatiche che erano proprie ad un Moses Levy, ma che in Pizzanelli si risolsero in accenti quieti, quasi a voler tentare una sorta di epica della solennità quotidiana, ma che nella pratica, specie nelle numerose vedute di Pisa, uscirono anche con le tracce di un recupero del vedutismo seicentesco. Che del resto la pittura di Pizzanelli racchiudesse dentro una veste alla francese un nucleo fortemente italiano risultò evidente in occasione della personale dell’artista del 1932, dove espose quadri di soggetto sacro. Secondo Fortunato Bellonzi, la mostra bene illustrava infatti come dietro la felicità dei cromatismi di Pizzanelli si nascondesse una “volontà architettonica” e costruttiva tipicamente toscana (“il colore stesso vi ha virtù architettonica, la forma si sente con la sua pienezza”), che volentieri usciva nelle riprese dei fiorentini del Quattrocento, fino a Masaccio. Questo variato spettro culturale presente nella pittura di Pizzanelli fu ribadito nella sua successiva partecipazione ad una mostra livornese del 1933, dove Raffaello Franchi trattò di lui come di uno dei “veri primitivi di un nuovo classicismo”, o nella coeva Quarta Mostra Provinciale Pisana, dove si parlò di un artista in “equilibrio tra il novecento ed una corrente più temperata”. L’identità di Pizzanelli ci par certo insomma che in definitiva si fosse giocata proprio intorno ad una parafrasi in chiave “classica” della pittura post-impressionista, ovvero quietamente disposta a smussarne le punte più eterodosse e con una compunzione stilistica pregevolissima, quasi in punta di pennello, che pure non poté non ingolfarsi – seppur per una breve parentesi – nella disciplina esclamativa della retorica fascista, nell’equivoco di un classicismo novecentista che s’intendeva completarsi nell’illustrazione delle parole d’ordina mussoliniane.
Come fu notato da Enzo Carli, Pizzanelli occupò ben presto in città una posizione di assoluta centralità, fino a diventare, in una Pisa che come vedremo già si riempiva degli stereotipi dell’artista intrattabile e saturnino, l’amatissimo maestro di molti giovani pittori. L’artista, in grazia della propria convinta militanza fascista, occupò del resto un posto di rilievo anche nel campo della promozione culturale, finendo col far parte dei comitati organizzativi di alcune Sindacali d’Arte della provincia, che evidentemente gli consentivano di ritagliarsi anche uno spazio di rilievo dal punto di vista di una più generale politica delle arti. A Pisa durante il Ventennio la censura artistica non sembrava aver avuto particolare corso … ed i tentativi di costringere gli artisti entro l’esclusivo canale delle Sindacali non ci risulta che abbiano avuto un grande risultato..(Stefano Renzoni, Artisti Pisani del Novecento, pagg 140-143)
Tra i cantori dell’Arno, e tra gli artisti pisani del primo Novecento, occupa un posto eminente Ferruccio Pizzanelli, maestro appartato cui unanimemente si riconosce la virtù di un dettato pittorico delicato e nobile, condotto con spirito tonale attento ai valori della luce, che modula dolcemente la materia, egualmente distante tanto dalla riduzione sintetica della forma nello spirito neoprimitivo dei Valori Plastici e di Novecento, quanto dalla frammentazione e dissipazione che si verifica negli epigoni macchiaioli, cui fu estraneo pur essendo stato discepolo di Giovanni Fattori a Firenze. Invero, da Fattori ereditò l’attenzione a costruire l’immagine sulla base d’un saldo impianto disegnativi, non la lezione della “Macchia” sia pure larga e ordinata in un insieme costruttivo alquanto concreto. Dopo le prove scolastiche e di formazione, a Firenze Pizzanelli si orientò, tra lo scorcio dell’Ottocento ed i primi del Novecento, in direzione modernista, nella versione liberty cui fu iniziato da Galileo Chini, del quale divenne collaboratore, tra l’altro contribuendo con i propri cuscini in cuoio all’allestimento della famosa “Sala del Sogno” di Chini e Novellini alla Biennale di Venezia del 1907. Rientrato a Pisa nel 1913, pervenne in breve ad un linguaggio pittorico misurato e gentile, nel quale il disegno toscano di impianto costruttivo si coniuga con una sensibilità cromatica di rara finezza, caratteristiche di linguaggio e di stile che rimarranno sostanzialmente immutate nel seguito degli anni e nei diversi generi canonici affrontati, segnatamente la veduta urbana che qui ci interessa. (Nicola Micieli, Pisa figurata, pagg 294-296)
Alessandro Tosi (a cura di)
Memoria del Novecento. Arti a Pisa nella prima metà del XX secolo
Cassa di Risparmio di Pisa, 2001, Pacini Editore
2003
… sempre nella schiera dei seguaci della corrente post-impressionista troviamo Adriano Baracchini Caputi e Ferruccio Pizzanelli, quest’ultimo arrivato da Pisa nel 1914 e che si trattiene nel paese fino al 1924, alternando la sua produzione en plain air con la passione della fotografia. La sua pittura, dai forti sapori post-macchia, è prevalentemente indirizzata alla ricerca dei valori cromatici dei parchi di Torre del Lago e di Migliarino, dimostrando così una qualità mentale del colore.
Enrico Dei
“Il Paesaggio silente del Lago” da “Torre del Lago Puccini, crocevia dell’arte del novecento”
a cura di Alessandra Belluomini Pucci e di Glauco Borella;
edito dalla Circoscrizione Torre del Lago Puccini e dal Centro Studi
Cultura Eclettica Liberty e Decò, Viareggio 2003, pag 127, illustrazione pag 118
2006
Firenze Opere d’Arte da una collezione del XX secolo
Bottega d’Arte Torresi, dicembre 2006
… un intrigante semi-alabastro volterrano e un cuoio del pisano Pizzanelli…(Antonio P. Torresi)
Sul retro è incollato un cartellino prestampato e completato con indicazioni a penna, con la seguente scritta: “Cognome e nome dell’artista Ferruccio Pizzanelli. Titolo dell’opera La croce. Prezzo di vendita £ 350. Indirizzo dell’artista Pisa”. A matita è aggiunta la data 8 ago. ’38, apposta dal vecchio proprietario, il medico Salvatore Traina e da riferirsi al giorno in cui l’opera venne da lui acquistata a Pisa, presumibilmente ad una mostra collettiva. Nel 2005 è stata donata dal figlio, Gian Carlo Traina, al nostro collezionista. Ottimo pittore da cavalletto, felice sia nel genere della natura morta, tentando un’intelligente sintesi tra la lezione cézanniana e la sensibilità toscana che in un paesaggismo esercitato su temi locali (fresche vedute marine dipinte con olio quasi “pastellato” si conservano presso l’Azienda di Promozione Turistica di Pisa e a Roma, presso il Quirinale), Pizzanelli è rimasto famoso per aver realizzato composizioni in cuoio inciso e “scolpito”, come in questo crocefisso su supporto ligneo, memore di arcaici misticismi, da Medioevo pisano. Dopo aver frequentato l’Istituto d’Arte di Lucca e l’Accademia di Belle Arti di Firenze (con Fattori), l’artista decise di impegnarsi nella realizzazione di cuoi lavorati, a bulino e colorati, “che riuscì a trasformare in autentici prodotti d’arte anche grazie ad una tecnica di sua invenzione e tenuta gelosamente segreta. Nel 1904 egli esordì così con una splendida mostra nel suo laboratorio posto in Via S.Maria (a Pisa n.d.r.) dove presentò numerosissimi tipi di oggetto in cuoio decorati con patine indelebili e recanti motivi lavorati a bulino anziché semplicemente impressi. Il segreto del successo consisté nel riscatto di oggetto di banale uso quotidiano (scatole, paraventi, cuscini etc.) mediante ornamentazioni declinate con “teste pensose di guerrieri medievali”, “cavalcate antiche o paesi autunnali”, secondo un gusto insomma che richiamava le formule della cultura morrissiana, un neomedievalismo poco connotato e pochissimo riconoscibile…” (S.Renzoni, “Artisti Pisani del Novecento”, Pacini Editore, Pisa 2001) Fu quindi chiamato a dirigere la Società Italiana dei Cuoi Lavorati a Milano e a partecipare all’arredo (con cuscini e tende in cuoio) della Sala Internazionale “L’arte del sogno” alla Biennale di Venezia del 1907, in cui Galileo e Chino Chini realizzeranno l’impianto in grès ceramico. Ma rientrato a Pisa poco prima della Guerra, Pizzanelli abbandonò il taglio ornamentale orientaleggiante o jugend per recuperare, come richiestogli dalla committenza provinciale, un gusto più tradizionale, realizzando capo-letto spesso ispirati a illustri modelli locali: come è il caso del Crocefisso ex-Traina, completato dalla bella soluzione della corona di spine incisa in alto sopra l’aureola.
Lucio Scardino, Etruria Novecentesca, Opere d’Arte da una collezione sul XX secolo
Mostra presso Bottega d’Arte Torresi, dicembre 2006, Firenze, Edizioni Liberty House, Ferrara
2007
La letteratura non lo dice – e neppure i lessici – ma sarebbe bello poter verificare quanto, di quei tragitti del Tommasi, lambisse una casa abitata da gente di cultura che si trovava da quelle parti: quella di Moses Levy, che sebbene con intermittenza abitò a Rigoli dal 1899 al 1917, dove ambientò rari dipinti con gli argini del Serchio e donne con la pezzuola in capo e incolonnate, con qualcosa dei fratelli Gioli e in anticipo sugli ancora pisani Ferruccio Pizzanelli e Giuseppe Viviani.
Stefano Renzoni
Estate in Villa. Il Lungomonte sangiulianese luogo di villeggiatura della nobiltà pisana
Edizioni ETS, 2007
2008
Non stupisce, pertanto, incontrare la firma di Franchi sulle pagine del bollettino livornese proprio in occasione delle personali di Franco Dani e di Italo Griselli ospitato dai Belforte nel dicembre del 1932, mentre appare riconducibile ad un interesse più estemporaneo la presentazione di Ferruccio Pizzanelli pubblicata sul numero successivo.
Paola Valenti, Arte a Livorno tra le due guerre. Bottega d’Arte tra tradizione e avanguardie
A cura di Franco Sborgi. Mostra promossa da comune di Livorno e Fondazione Cassa di Risparmi di
Livorno; Dicembre 2007 – Gennaio 2008
Seravezza (Lu) Terre d’Arno nell’arte figurativa dal Seicento al Novecento
(a cura di Enrico Dei), Palazzo Mediceo, luglio – ottobre
1. Le rovine del Ponte Solferino
2. Le rovine del Ponte di Mezzo
L’ariosità e la freschezza dei paesaggi prodotti da Tosi sembrano affiorare nell’Arno a Sovigliana di Sineo Gemignani…nonché nelle ultime opere di Ferruccio Pizzanelli. Il lungo percorso artistico del pittore pisano, anch’egli presente alla ricordata Primaverile Fiorentina del ’22, si conclude con gli impasti cromatici spessi con cui sono rese le luminescenze che informano la raffigurazione delle rovine del Ponte Solforino e del ponte di Mezzo, subito dopo la seconda guerra mondiale, un tema, quello della città di Pisa, caro anche a Umberto Vittorini
Francesca Marini,
L’Arno, la toscanità, la Primaverile e il paesaggio attraverso alcuni dipinti della prima metà
del Novecento – Dal Catalogo della Mostra “Terre d’Arno, nell’arte figurativa dal seicento”
al novecento” – Seravezza 2008, pag 66, Edizioni Bandecchi e Vivaldi, Pontedera
Testa di portatrice di legna – Olio su Tavola
Il dipinto è uno dei più riusciti della produzione del pittore. In esso si nota la volontà di recupero delle tradizioni quattrocentesche che ha dominato la pittura di Pizzanelli tra gli anni venti e trenta. Le forme masaccesche sono individuabili nei volumi importanti della testa, nella forza della luce che compone in modo quasi architettonico le forme, e che rende la pienezza dello spazio con straordinaria efficacia. Anche l’essenzialità delle forme, lo sfondo spoglio di orpelli e l’intensità espressiva affondano le loro radici nella tradizione pittorica toscana. Le uniche eccezioni a tanta essenzialità sono le decorazioni della stoffa del foulard con cui la testa è avvolta, e l’orecchino a goccia della donna.
Blù Palazzo - Palazzo d’arte e di cultura a cura di Stefano Renzoni .
Il Palazzo, la storia e le collezioni pagg 102,103, viene riprodotto il dipinto citato Giunti Editore, 2008
2009
Seravezza (Lu) Cultura della Terra in Toscana. Mezzadri e Coltivatori Diretti
nell’arte dell’ottocento e del novecento
(a cura di Enrico Dei), Palazzo Mediceo, luglio – ottobre
1. Donna di Torre del Lago
2010
Pisa Ferruccio Pizzanelli, Pittura e Arti applicate
a cura di Stefano Renzoni, Blu –
Palazzo d’Arte e Cultura. febbraio – marzo. Catalogo di Giunti Editori
Ferruccio Pizzanelli frequentò la scuola d’Arte di Lucca e poi l’Accademia di Belle Arti Firenze, dove si diplomò orientandosi principalmente verso le arti applicate. Questa propensione lo portò nei primissimi anni del Novecento a dedicarsi intensamente alla lavorazione artistica del cuoio, ben evidente nel suo esordio pisano del 1904, dove nello studio di Via S.Maria propose oggetti definiti “Splendidi” e dal gusto aggiornato sugli esiti Jugendstil, che fecero dire al recensore di parer di trovarsi “nel cuore della Germania”, tanto i suoi decori fatti di “teste pensose di guerrieri medievali” e di “cavalcate antiche” attingevano a risorse diverse dalle solite rivisitazioni nostre.
Vinto poi nel 1906 a Milano, nella prestigiosa Esposizione del Sempione, il gran premio nel settore dei cuoi lavorati (d’ardita lavorazione a graffio e sbalzo), l’anno dopo l’artista decise di stabilirsi nella capitale lombarda, divenendo direttore della “Società Italiana dei Cuoi Decorati”, cui tra l’altro applicava inediti sistemi di colorazione. La stampa specializzata cominciò ad occuparsi dei suoi lavori e con giudizi affatto lusinghieri, così che quando nel 1907 affiancò Galileo Chini nella celeberrima Sala del Sogno alla VII Biennale di Venezia, arricchendone gli addobbi con tende ed una serie di cuscini in cuoi “garbatamente incisi e colorati” – sì da “rallegrare le pupille del più raffinato buongustaio d’arte” – la circostanza parve il primo raggiungimento, non certo l’apice, di una fulminante carriera ancora agli esordi. Nel 1908 l’artista vinse infatti premi ad importanti mostre a Torino e a Bruxelles; poco dopo partecipò a quelle di Torino, ancora, e di Roma. La critica, specie in relazione ai suoi cuoi, ravviserà in questa stagione di Pizzanelli una fitta trama di rimandi culturali, dove le prime mozioni secessioniste venivano arricchite con rimandi ad un naturalismo “di matrice giapponese” e rimandi a Beardsley e, ovviamente, a chini, come impresa di una sperimentazione colta e meditata.
Nel 1913 Pizzanelli fece ritorno a Pisa, dove cominciò ad esporre anche quadri, con una rinnovata sensibilità per le sperimentazioni figurative che certo beneficiò di un suo lungo soggiorno a Torre del Lago (1916-1924), dove ebbe modo di conoscere l’ambiente artistico versiliese e pucciniano (Viani, Pea, Levy…), traendone partito per un affinamento dei suoi interessi pittorici, che fino ad allora erano stati meno approfonditi.
Nel 1916, partecipando a Pisa ad una mostra “Pro mutilati di guerra”, esibì allora la sua abilità nel fare buon uso di uno svariato sistema di tecniche artistiche, dal momento che accanto ai consueti cuoi presentò alcune xilografie e, forse per la prima volta in una occasione così importante, diverse tele e pastelli “oltremodo suggestivi per un senso di mistero che vi aleggia”, che dimostravano una flessione su temi simbolisti e densi di riecheggiamenti lirici e sentimentali che risentivano di Nomellini, che ne facevano, così la critica, “il poeta della notte e delle solitudini”.
Furono quelli per Pizzanelli anni segnati da numerose partecipazioni espositive (Viareggio, Firenze, Torino, Livorno, Roma, Buenos Aires), dove egli, pur non disdegnando la riproposizione dei cuoi, cominciò ormai definitivamente ad imporsi in campo pittorico, con certi suoi quadri che tenevano dei temi di Levy – e talvolta anche dei colori – ma che sempre più si affrancavano dal falso impressionismo di certi latinucci giovanili, per imporsi invece per una originale e franca rilettura della tradizione pittorica toscana. Non a caso allora, a partire dagli anni Venti, la sua pittura venne esplicitamente riletta come articolata in una originale rilettura di Cezanne, ma con un fare “meno rude e più equilibrato”, che talvolta, per quel tono intimista e malinconico che spesso faceva da basso continuo alle sue composizioni, lo fecero definire come un “bizzarro impressionista”.
Negli anni successivi, dallo studio nella centralissima Via S.Martino, Pizzanelli diventò uno dei protagonisti assoluti dell’ambiente culturale di Pisa negli anni del fascismo, organizzando mostre – sue e di altri – partecipando assiduamente alle Sindacali, insegnando pittura ad un cospicuo drappello di estimatori (“maestro di una intera generazione di pittori cittadini”) dedicandosi con buoni risultati anche alla pittura su parete (Facoltà di Agraria dell’Università, sede della milizia Fascista, Palazzo della Provincia), nel segno di una sperimentazione tecnica inesausta e ricca di risultati.
A partire dagli anni Trenta Pizzanelli, pur continuando ad esporre in tutta Italia (Viareggio, Napoli, Venezia, Firenze…) scelse Pisa come principale teatro della propria attività, proponendo una pittura che incontrò i favori del pubblico per quella sua vena accostante ed intimista che talvolta si volle genericamente interpretare come “poetica”, fatta do paesaggi luminosi e sospesi, ma con una vena malinconica e pensosa, che facevano da contraltare, sebbene lui convinto fascista, alle certezze gridate del Ventennio. Il tutto poi alternato a nature morte dal forte valore plastico, e da volti solenni e inesorabili, che fecero dire a qualcuno che bene si trattava di una rilettura di quelli scabri e potentissimi di Masaccio. E non aveva torto, perché negli squadri costruttivi dei suoi paesaggi ben s’individua una “saldezza architettonica” neoquattrocentesca, sì che “la forma si sent(iva) con la sua pienezza”, e Pizzanelli finì con l’essere interpretato come uno dei “veri primitivi di un nuovo classicismo”. Mentre le sue nature morte, bellissime, si sviluppavano in una saldezza plastica che le faceva parenti di certe di Oscar Ghiglia.
La sua fu una pittura di tono figurativo sostanzialmente estranea alle avanguardie, ma dove si espresse un gusto raffinato per la personale rielaborazione della pittura di Levy e Chini, non distante dai risultati del gruppo dei pittori del Novecento. Ma nel Nostro il passaggio dalle giovanili tessiture cromatiche del mare Tirreno scandite da donne e ombrelloni, alle più ostiche forme monumentali della maturità, fu ricomposto da un istinto autentico d’artista e da un garbo pittorico costante, che ne riscattò in esiti colti e gradevolissimi le pause celebrative (che pure vi furono), l’ostentata e per altri pericolosa divisa del combattente, che mai in lui fu piegata dalla routine.
Fu allora un artista vero Pizzanelli e, a detta di chi lo conobbe, uomo dignitoso e altrettanto onesto. “Morto piuttosto povero perché troppo poeticamente, distrattamente e disinteressatamente artista”: così Astianatte disse di lui. E fu epigrafe dolce e beneaugurante, senza l’ambiguo sentimento dell’affetto complice e interessato, ma con la parola fiera che si doveva a chi se l’era ben meritata. E noi alla pronuncia di quella ci aggiungiamo.
Stefano Renzoni
2011
Volterra Attraverso il Novecento. Mino Rosi e la collezione da Fattori a Morandi
a cura di Nicola Micieli
1. Magazzino
Sul synthronos in marmo, i cuscini in cuoio di Pizzanelli, con decorazioni a frange di esotico ricordo bugattiano infondevano alla sala un’aura di atmosfera primigenia
Maria Flora Giubilei. Venezia 1907. La Sala dell’Arte del Sogno alla Biennale, una “corsa nei campi dell’ideale”.
Sponsorizzati furono, poi, tutti gli arredi della sala: le portiere di Bice Smith in “ricamo di Anghiari”, i cuscini in cuoio di Francesco Pizzanelli, il tappeto e le stoffe di Angelo Peyron…
A dispetto delle negative previsioni di Eduardo Ximenes (…..) furono vendute diciotto opere. Nove cuscini di Pizzanelli a vari acquirenti, noti e ignoti: l’ingegner Giancarlo Stucky, proprietario dell’omonimo Molino a Venezia; Sigmund Singer, la baronessa Lola Garlach ela contessina Doda Albrizzi, al secolo Vittoria Albrizzi, pittrice dilettante che espose nella Sala del Giornale alla Biennale del 1903.
Maria Flora Giubilei, La Sala dell’Arte del Sogno, un’oasi di “purezza” per la Biennale del 1907
Catalogo della Mostra “Il Simbolismo in Italia” a cura di MariaVittoria Marini Clarelli, Fernando Mazzocca, Carlo Sisi. Padova, ottobre 2011 – febbraio 2012. Edizioni Marsilio, pagg. 70, 187, 188
…Questo elogio della civiltà e del mondo delle campagne riprendeva concetti già divulgati un anno prima dal mensile pisano “Pisa Rurale”, quando, nell'articolo “Il contadino e la razza” scriveva che questi “merita lode assoluta (…) macché sartina, modella o operaia o impiegata, il contadino – solo – ama la ragazza del suo rango, quella che sa mungere la vacca, dare il becchime ai polli, mettere a letto i figlioli, mestare la bionda polenda, o la bianca, a seconda della stagione”. La purezza della razza, l'endogamia, la quiete e la fede dei sani valori della civiltà patriarcale contadina dovevano tenere lontani dai pericolosi eccessi della modernità cittadina e rendere sempre più consapevole la premiata massaia rurale della felicità unica offertale dalla visione del sano consorte, forte nel campo assolato, abbracciato all'enorme covone di grano.
In tale cornice, la rinnovata veste della Facoltà di Agraria pisana si legava e rispondeva quindi ad un'esigenza e un progetto di ben più ampia portata politica. E non è un caso che alla decorazione dell'Aula magna venisse riservata una particolare attenzione.
Nello scenario scandito dalle citazioni virgiliane l'inno alla cultura agraria come pilastro di un nuovo sistema educativo si svolgeva attraverso espliciti elementi allusivi, come le spighe dorate che impreziosivano il fine intaglio della cattedra, e nel campionario “rurale” di borghi, case, massaie e contadini visualizzato nei due grandi riquadro affrescati dal pittore pisano Ferruccio Pizzanelli.
Non era nuovo, Pizzanelli, agli interventi di decorazione murale destinati ad accompagnare alcune delle più significative imprese edilizie di questi anni. Appena un anno prima, nell'atrio del “magnifico edificio” sede del “nuovo Palazzo dell'Amministrazione Provinciale” aveva firmato l'affresco con “le virtù guerriere del popolo pisano dell'antica repubblica” (coperto nel 1967 per far posto al Monumento alla Resistenza di Mino Trafeli), ricordandosi bene del ciclo di Galileo Chini in palazzo Vincenti e rivelando un vocabolario aggiornato su quella patria retorica di storia e campanile che dettava, proprio alla stessa data, gli arazzi di Pio e Silvio Eroli nella sala reale della Stazione di Santa Maria Novella a Firenze. E se una sua pagina murale è segnalata nella sede della Milizia Fascista, nell'atrio della Clinica Dermosifilopatica inaugurata nel 1938 è da restituire ancora a Pizzanelli l'elegante partitura decorativa con il cherubino incorniciato dal raffinato arabesco vegetale, documento prezioso nel riaffermare le origini di grande ornatista.
Con i deliziosi cuoi lavorati e accanto a quel Galileo Chini che continuerà ad essere fonte privilegiata di motivi e soluzioni, Pizzanelli aveva infatti contribuito allo straordinario successo della celebra Sala del Sogno alla Biennale veneziana del 1907. Dai felici esordi su una scena nazionale e internazionale, dopo che “un po' pencolò per il '900” (come scriveva “Lallo” nel 1935) era passato ad una convinta e piena adesione al nuovo classicismo di impronta Novecentista, diventando protagonista nel panorama artistico pisano degli anni '30. Coinvolto nell'organizzazione delle mostre sindacali d'arte a partire dal '35 fiduciario del Sindacato Pisano di Belle Arti, Pizzanelli era interprete tra i più dotati e dosati di una pittura di temi e toni ampiamente condivisi.
Un ruolo riconosciuto ufficialmente alla VII mostra sindacale inaugurata al Teatro Verdi nel dicembre del 1936, dove le sale principali spettavano a lui e a Giuseppe Viviani. Ma se il “principe di Boccadarno” era personalità troppo forte e originale per ricondurvi ulteriori esperienze e ricerche – come lo era, del resto, anche Spartano Carlini – Pizzanelli veniva presentato con le coordinate di autorevole maestro. Quasi un Cézanne addolcito e più equilibrato, secondo Clément Morro (critico francese assai attento al panorama pisano), con la stessa volontà di “interpretazione sintetica della natura” ma più saggio e controllato, “constructeur puissant et ses oeuvres ont en quelque sorte une structure architecturale qui leur assure une vie durable”; e, per Raffaello Franchi, personalità emergente tra i “nuovi pittori italiani di un paese, veri primitivi di un nuovo classicismo”, “interprete di consapevole e poeticissima intenzione” del paesaggio e soprattutto del paesaggio pisano. Come a dire che nella “volontà architettonica” di Pizzanelli (così Fortunato Bellonzi nel 1932) testimoniata ad esempio dal Vecchio Ponte a Piglieri presentato alla V Mostra d'arte del 1934, si rivelava una sensibilità paesaggistica che sembrava tradurre l'essenza naturale e sentimentale degli scenari pisani, anzi di quel piano di Pisa “che al modo di tutti i luoghi pianeggianti a lontani e astrattivi orizzonti, porta allusivamente a ridosso di chi guarda ogni visibile piano volumetrico, realizzando al di là, in un soffio, il senso quasi più fantastico che reale della distanza” (Raffaello Franchi).
Motivi che giungevano nel momento di più intense riflessioni sul tema del paesaggio e del paesaggio agrario, anzi agricolo, nelle sue rispondenze decorative, architettoniche, pittoriche. Nel 1935, a due anni di distanza dal Manifesto della pittura murale steso da Sironi, Campigli, Funi e Carrà, era Mario Tinti, nel volume Architettura delle case coloniche illustrato dai disegni di Ottone Rosai, ad indicare la linea Giotto-Fattori-Cézanne come strada maestra per ritrovare le “forme elementari” del paesaggio toscano. Una linea che si affermava attraverso le straordinarie pagine pittoriche di Rosai nella sala-ristoro della nuova Stazione di Santa Maria Novella, di Lorenzo Viani nella stazione di Viareggio e nell'estremo ciclo di affreschi a Castel Fusano di Ardengo Soffici nella sua intensa stagione di frescante. E che trovava a Pisa una pronta adesione nella generazione di artisti che, da Federigo Severini, a Salvatore Pizzarello, Gino Bonfanti, Guido Cerri, Ascanio Tealdi, Piramo Cigheri o Giovanni Caniaux, nella riscoperta del glorioso medioevo pisano andavano impostando una corrispondenza tra il dato paesistico e la ricerca di sobrie strutture formali e volumetriche.
A cogliere questo “sentimento del paesaggio” era del resto la penna magistrale del giovane Enzo Carli che, introducendo al VIII mostra sindacale del 1938, indicava i suoi “paesaggi del cuore” come motivo di identità cittadina:
“i Pisani, oggi, sognano aperture marine sotto gli archi dei ponti, mentre il fiume stagna dolcissimo nei suoi verdi smeraldo sotto la canicola dei rossi mattoni, o si gonfia celeste e felice ai soffi di un insolito maestrale mattutino: e non è la crudetta luce della Toscana terragna che sega gli spigoli o coagula le ombre a definire precisi volumi e taglienti disegni, ma l'arioso chiarore di un abbagliante orizzonte salino che s'addolcisce e si stempera nel riflesso delle pinete e dei prati a penetrare di sé gli alberi e le pietre, a sfiorare con un'inerte e vaga tristezza le fronti delle giovinette, a donare un colore di caldo pane ai marmi delle Chiese corrosi dal salmastro”.
In tale contesto, sono proprio gli affreschi eseguiti nel 1939 a Pizzanelli per l'Aula Magna della Facoltà di Agraria a rappresentare un documento tra i più suggestivi e significativi. Nelle due scene del Seminatore e della Raccolta del grano (o La contadina), in cui il rapporto tra figure e paesaggio è risolto in meditate scansioni narrative, si rivela infatti la partecipazione ad una cultura figurativa allargata e condivisa. Dove si possono ritrovare, nelle semplificazioni masaccesche di case coloniche, cipressi o colline, i motivi percorsi non solo da Rosai, Viani e Soffici, ma anche da Achille Lega, Bruno Bramanti, Pietro Bugiani.
La volontà di Pizzanelli di ricondurre la pisanità ad una più ampia toscanità, che significava anche più saldi apporti con il gruppo del Novecento toscano, si concretizzava proprio nel 1939 quando alla IX mostra Sindacale garantiva la partecipazione di Carlo Rivalta, Franco Dani, Guido Ferroni, Guido Peyron, Guido Spadolini, Mario Moschi e Mario Bucci. E a quella stessa data l'ingresso di Soffici nell'Accademia d'Italia veniva salutato da Arrigo Chiara su “L'Idea Fascista” (3.6.1939) come meritato riconoscimento a chi aveva cantato, con il “dono della freschezza e della sensibilità della delicata e sfumata descrizione”, un paesaggio toscano “sempre uguale dagli affreschi di Giotto e di Masaccio a quello dei recenti ritorni alla tradizione e all'ordine”.
Di Novecento parlano del resto gli inserti di natura morta – il forcone, la bottiglia, le mele, il paniere – che si uniscono all'omaggio a Fattori (doveroso, nei bovi agghindati), magari stemperato dal fresco ricordi dei Gioli, mentre la trama di riprese e citazioni trova maggiore rispondenza nello sguardo a un medioevo che richiama gli affreschi del Camposanto e le sculture di Nino Pisano.
Un vocabolario colto e raffinato a cui Pizzanelli rispondeva, in un contesto severo e ufficiale, ai motivi e ai temi della retorica agraria diffusa dal regime. La figura della Contadina con la messe del grano avrebbe forse dovuto proporre un ideale ritratto di massaia rurale, magari di quella Serenella di Pomarance che, proprio mentre il pittore pensava al riquadro dell'Aula Magna, sulle pagine dell'”Idea Fascista” (4.2.1939) proclamava a gran voce “Voglio essere rurale”, difendendo con passione il nuovo ordinamento della “Scuola Rurale” in un mondo di “campicelli” e “baldi contadinelli”, tra la “serena speranza della semente” e la “soddisfazione del raccolto”. Eppure, il sorriso che Pizzanelli aveva in un primo tempo stampato sul volto della sua contadina – come documenta un inedito, delizioso studio preparatorio – lasciava il posto all'espressione grave e malinconica di fatica e rassegnazione. Evocando quel “gusto di certi primitivi senesi” avvertito dai contemporanei, era davvero, la sua, un'immagine di campagna da buon governo?
Romano Paolo Coppini, Alessandro Tosi. Pisa Rurale, Intorno alla decorazione dell’Aula Magna della Facoltà di Agraria. Da “Scienze agrarie e immagini della campagna. L’Aula Magna della Facoltà di Agraria dell’Università di Pisa”. Edizioni ETS, Pisa novembre 2011
Non ho mai conosciuto mio nonno Ferruccio Pizzanelli. Sono nato esattamente lo stesso anno in cui lui è scomparso e proprio in quell’anno mia nonna Emma Muller Pizzanelli, la moglie del pittore, è venuta a vivere nella nostra famiglia. Attraverso i suoi ricordi, i suoi racconti e le sue storie ho rivissuto e ripercorso una vita: quasi una favola, un mondo fantastico che mi è passato davanti agli occhi e mi è rimasto nella fantasia.
Mio nonno Ferruccio e mia nonna Emma si sono conosciuti su un treno nel 1913. Ferruccio, nato a Pisa nel 1879, dal 1905 viveva fra Pisa e Milano dove aveva avviato un’impresa di produzione di cuoi: la Società Italiana Cuoi Decorati. La mia nonna, nata a Roma nel 1892, dal 1910 viveva a Novi Ligure per una storia un po’ curiosa e singolare: suo padre Carlo Muller, di famiglia di origine tedesca trapiantata a Roma nel corso dell’800 al servizio del Papa, aveva scelto come professione quella di attrezzista teatrale. In questa veste aveva cominciato a girare il mondo assieme a Fregoli, passato alla storia dell'arte scenica per essere uno dei più capaci trasformisti, creatore di uno spettacolo incentrato sulla sua persona e sulla possibilità di rappresentare un numero infinito di personaggi. Carlo Muller, nello spettacolo, era l’uomo delle luci e delle innovazioni tecniche (esistevano alcuni suoi, primi, rudimentali, filmini su Fregoli) e decise di trasferire tutti i congiunti da Roma a Novi Ligure con la scusa che sarebbero stati più vicini al Porto di Genova - da cui partivano i giri mondiali di Fregoli – in modo da raggiungere più facilmente la famiglia fra una tournee e l’altra. Scarsamente abituati ai rigidi inverni piemontesi scelsero di spostarsi nuovamente e si orientarono su Pisa. Il buon Carlo, dopo un po’, non si fece più vedere ma durante questi trasferimenti Ferruccio ed Emma si incontrarono e scoccò la scintilla dell’amore fra l’artista pisano e la donna dal bel profilo dai tratti vagamente nordici.
Si sposarono a Viareggio nel 1915, nello stesso anno nacque il figlio Antonio e decisero di andare a vivere a Torre del Lago che, a quel tempo, assieme alla vicina Viareggio, era uno dei luoghi di attrazione della cultura e della bella società italiana. Torre del Lago è anche il luogo di innumerevoli scoperte per Ferruccio e la sua pittura: la luce dei luoghi di mare, quella luce - così intensa specie nel periodo estivo - forte e quasi abbagliante che crea le ombre, dà volume alle forme, esalta i colori ed arricchisce la tavolozza. Sono di questo periodo infatti i quadri legati ai temi del mare, alle figure di donne sulla spiaggia e fra le dune ancora selvagge, i dipinti che raffigurano affollati e multicolori stabilimenti balneari viareggini.
E’ di questi anni la scoperta della fotografia come mezzo per prendere appunti, fissare un’immagine che sarà utile per una successiva rielaborazione al cavalletto. Le fotografie, tutte di formato 6x9 e stampate a contatto, hanno un taglio insolito, spesso con le figure ritratte in obliquo, con una attenzione spasmodica ai giochi di ombra e di luce. Le figure familiari sono riprese in posa negli ampi abiti bianchi così carichi di luce, e si tratta di figure sulla spiaggia oppure nel giardino, viene fotografato il figlio Antonio ancora piccolissimo, sono documentate le conversazioni sulle poltroncine di midollino, i cappelli, gli ombrellini giapponesi.
Il Giappone, una grande passione che aveva contaminato tutta l’Europa per la asciutta semplificazione e l’eleganza della forma. Il Giappone ritorna come un amore ed una lezione che riaffiora nei temi – i pesci, i fiori - degli oggetti in cuoio prodotti da Ferruccio e nelle cose di cui amava circondarsi: gli ombrellini dalla sottile carta di riso, le bambole, i tessuti, le xilografie. Risalgono a questo periodo le xilografie note: il ritratto della sorella e le 14 xilografie originali, sospese fra suggestioni simboliste, richiami jugendtstil ed una grafica decorativa, che illustrano “Il convegno dei sogni, poemetti e liriche, del pontederese Ottorino Checchi che viene pubblicato, nel 1918, dall’editore Noccioli di Empoli.
Torre del Lago è anche il sapore della macchia, la possibilità di scoprire e vivere gli odori della pineta che arriva fin quasi al mare e dove improvvisi specchi d’acqua si aprono in mezzo al fitto della vegetazione. E’ anche il gusto di dipingere all’aria aperta in qualsiasi stagione, accendendo un fuoco in inverno per scaldare le mani intirizzite dal freddo, con la fida busta in cuoio per portare i pennelli – con una predilezione per quelli a punta quadrata - la cassetta dei colori ed una tavoletta di legno o di cartone per dipingere sentendo il profumo del bosco ed il silenzio della natura.
Torre del Lago è anche la piccola casa – tuttora esistente – con un retro che si affaccia su un giardino, luogo ideale in cui ambientare le proprie figure, una casa con tutte le sue incombenze quotidiane puntualmente rappresentate nei quadri. Ma il paese è soprattutto la gente, le contadine con i cesti carichi di prodotti ed i pescatori, figure solitarie assorte nel lavoro di rammendatura delle reti sulla spiaggia. Vicino c’è Viareggio, la quasi metropoli, il porto dalle numerose stupefacenti vele, puntualmente fotografate come una ragnatela di corde e di tessuti.
Torre del Lago è anche il luogo di amicizia e frequentazione con gli altri pittori legati al circolo della Boheme, il ritrovo con gli amici più vicini: Plinio Nomellini, Galileo Chini, Moses Levy come ricorda Carlo Ludovico Ragghianti nel saggio dedicato a Moses. E per una di quelle vicende un po’ curiose che sempre muovono la vita dei pittori fu proprio Moses Levy a recarsi al Municipio di Viareggio a denunciare la nascita del secondo figlio di Ferruccio: Leonardo, nato nel 1920 proprio a Torre del Lago. D’altra parte, come spesso accade, le suggestioni artistiche hanno la meglio sulle incombenze familiari ed amministrative. E Torre del Lago è anche la vicinanza con il maestro Puccini, figura conosciuta e frequentata; “tuo padre è stato tenuto in braccio dal maestro Puccini” amava ripetere mia nonna, ed è stato proprio in questi ultimi anni il ritrovamento di un quadro, una natura morta che raffigura due capponi e che reca sul retro la scritta di mio nonno “due capponi per il maestro Puccini”.
E’ in questi anni la amicizia con il conte Ganucci Cancellieri di Travalle, una splendida località nei pressi di Calenzano, nelle valli in cui la Piana di Firenze, così urbanizzata, si perde nel verde, nel silenzio e nella pace delle valli che portano verso l’Appennino. Una villa con un suggestivo giardino dove Ferruccio si è recato per dipingere animosi paesaggi e serene figure di donne in conversazione all’interno del giardino privato chiamato “Il Selvaggio”.
Ed assieme a tutto questo sta ancora il rapporto con l’amata Firenze dove aveva lungamente soggiornato come studente all’Accademia d’Arte sotto la guida di Giovanni Fattori ed aveva appreso l’arte della lavorazione del cuoio. Un legame che si rinnova con gli incontri ai Caffè delle Giubbe Rosse ed al Paszkowski, con le mostre, con l'amicizia con i grandi critici d'arte dell'epoca.
Nel successivo periodo pisano è continuata una intensa attività pittorica ma si è fermato l’interesse per la fotografia: E’ rimasta la documentazione di una piena dell’Arno, alcune raffigurazioni di Marina di Pisa, le fotografie di un film in costume medievale degli anni 30 con improbabili soldati che escono dal Duomo di Pisa o salgono su una specie di galea ormeggiata verso San Piero a Grado.
Ben poco era rimasto in famiglia di tutta la attività artistica: l’ultimo studio di mio nonno, in Via San Martino, davanti alla Banca d’Italia - locale di proprietà di un altro pittore, Santi Macchia – fu abbandonato durante il passaggio della guerra e depredato. Sollecitato dalle memorie ho cominciato a cercare materiale, informazioni, documenti che testimoniavano la intensa attività artistica di mio nonno e desidero ringraziare gli amici studiosi che, sempre più numerosi, hanno approfondito la figura di Ferruccio Pizzanelli, con competenza e disponibilità dedicandosi ad accurate ricerche su un periodo in cui molto resta da scoprire.
Ancora oggi si ritrovano quadri di mio nonno e li guardo sempre con grande interesse alla ricerca del particolare, del dettaglio, del tema che mi apra altre curiosità, interessi e mi riporti indietro nel tempo alle storie raccontate da mia nonna, l’inizio di questa storia.
Fabrizio Pizzanelli. Due capponi per il Maestro Puccini. Da “Scienze agrarie e immagini della campagna. L’Aula Magna della Facoltà di Agraria dell’Università di Pisa”. Edizioni ETS, Pisa novembre 2011
I pittori pisani novecenteschi non hanno quasi mai goduto di un’attenzione storiografica convincente. Tranne il caso di Viviani, che ha incarnato abbastanza presto una certa anima malinconica e insopportabile dei suoi concittadini, gli altri hanno subito una sfortuna abbastanza evidente. Oltre alla clamorosa noncuranza critica verso Spartaco Carlini, che ci mise volentieri del suo nel non farsi troppo considerare (stralunato com’era), anche un pittore di grandissimo interesse come Guglielmo Amedeo Lori non è stato ancora sufficientemente apprezzato, tutt’altro. Partecipò a mostre importanti e vinse premi cospicui, ma la Pisa del dopoguerra non gli ha ancora dedicato una mostra. Mai.
Ci sarebbero poi i casi dei fratelli Gioli (Francesco e Luigi) ma questi passarono volentieri la loro vita altrove (Firenze, Crespina…), e furono pisani e non lo furono, anche se, pure in questo caso, una bella mostra locale non ci starebbe male. La crisi artistica del primo Novecento pisano non significò assenza di talenti, ma certo vide ridimensionarsi le possibilità espressive, e non è che, ad esempio, le cose siano andate molto diversamente in campo letterario. Negli ultimi anni però si sono infittiti gli studi tesi a colmare queste lacune. Certo, in città nel primo Novecento non vi fu Picasso, se non forse di passaggio, ma oltre a quelli menzionati vi abitarono ugualmente artisti validi e capaci. Nicola Torricini, Fortunato Bellonzi, Federigo Severini, Salvatore Pizzarello, Riccardo Manetti, furono in vario grado e con diversa dignità artisti capaci e talvolta perfino intriganti, che si mossero su una forbice espressiva che andava dal naturalismo postmacchiaiolo all’espressionismo, passando anche per il recupero di una maniera più assiduamente legata alla tradizione toscana della pittura su parete.
In questo gruppo di pittori che hanno beneficiato negli ultimi anni di una qualche attenzione storiografica, gioca bene la sua parte da primo della classe Ferruccio Pizzanelli. Artista abile con i pennelli, così come nella lavorazione artistica del cuoio (che lo portò a partecipare con successo ad una Biennale di Venezia), Pizzanelli abitò a lungo anche in Versilia, dove ebbe la possibilità di confrontarsi con gli artisti che volentieri vi trascorrevano vacanze e periodi di lavoro, affinando uno stile assai mobile e arricchito da personali ricerche e da varianti di valore. Ne uscì una pittura dalla forte intonazione paesaggistica, affine per molti aspetti a quella di Moses Levy, ma condotta con una dignitosa e peculiare qualità stilistica, che consentì sempre a Pizzanelli di non cadere nelle panie della semplice imitazione. Da vero artista, si accostò agli altri da pari a pari, traendone spunti e riflessioni personali. Infatti Pizzanelli dopo il periodo versiliese modificò progressivamente il proprio linguaggio, fino a risentire, specie nel Ventennio, di una pittura più saldamente legata al recupero di una misura solenne, interpretata come indagine di una idea eterna e ricorrente di classicità, mutuata dalla grande lezione toscana rinascimentale. Donne masaccesche, così fu detto, e paesaggi luminosi e bislunghi come nelle predelle dei polittici, fino a sperimentare, e con esiti affatto persuasivi, la pittura su parete. Certo, il forte impegno di Pizzanelli nella politica culturale del Fascismo ne hanno forse alienato le fortune, specie nel dopoguerra, ma l’uomo fu generoso e non certo banale, l’artista autentico, e l’adesione alla dittatura fu un fatto importante, comune a molti altri intellettuali dell’epoca, ma che andrebbe di sicuro meglio analizzata, così come gran parte delle vicende della politica culturale del Ventennio a Pisa.
Tra le sue varie attività vi fu infatti quella di attivo e partecipe organizzatore delle mostre che il Comitato Provinciale della Confederazione dei Sindacati Professioniste ed Artisti allestì a Pisa dal 1930, e che con scadenza annuale animarono la vita culturale cittadina fin quasi alla fine della dittatura. Furono numerose mostre, orientate in gran parte verso la pittura (ma senza disdegnare la scultura e le arti grafiche), dove passò il meglio e il peggio della cultura figurativa locale di quegli anni. Si trattò di mostre senz’altro ben fatte, dotate di cataloghi scrupolosi ed efficacemente redatti, con foto e sufficiente dispiego di notazioni tecniche, perché nella bolsa retorica del regime doveva trovar posto la curiosità dell’esperto e dell’addetto ai lavori, ma anche quella del passante inesperto e, come si diceva, col passo di corsa.
Del resto nel corso del Ventennio Pizzanelli dette sostanza alla propria militanza artistica e politica con una ricerca espressiva non banale, che continuò a trarre motivi d’ispirazione dalla natura anche nei momenti di più convinta adesione al Regime, segno che i giovanili agi versiliesi e l’affettuosa amicizia di artisti come Plinio Nomellini furono qualcosa di più di una semplice futilità della vita. Quell’inedita tavoletta raffigurante La passeggiata delle Piagge qui pubblicata, che fu soggetto assai affrontato dai pittori pisani, sembra fatta apposta per dimostrare un vezzo naturalistico – no, meglio: una predisposizione -, che rende giustizia di tanta monotonia di tanti pittori: ebbe il coraggio di cambiare registro espressivo Pizzanelli, passando dai Mussolini a Cavallo (ne affrescò uno che se esistesse ancora sarebbe la delizia degli storici dell’arte, perché era a metà tra uno dei Magi di Benozzo Gozzoli e il Marco Aurelio del Campidoglio!), per concludersi nell’ansa dell’Arno assai frequentata, allora come oggi, come forma di una quasi domestica fuga nella natura.
Parlavamo poc’anzi delle Mostre Provinciali d’Arte. La prima venne tenuta nel salone di Palazzo Vincenti, nell’attuale Corso Italia, dove aveva sede il Consiglio Provinciale dell’Economia. Le altre invece vennero organizzate nel più prestigioso palazzo alla Giornata (oggi sede del rettorato dello Studio di Pisa) dove aveva sede il Circolo della Cultura. Ecco allora che il quadretto qui presentato, che per l’appunto raffigura la bellissima facciata de il Palazzo alla giornata, con sul balcone una bandiera pisana stropicciata, voleva probabilmente alludere, o addirittura celebrare, l’edificio che nelle strategie dei fascisti pisani stava assumendo un’importanza centrale. O forse, come sarebbe perfino ancora più intrigante, costituiva per Ferruccio una sorta di reliquia, capace di ricordare a se stesso e agli amici il palazzo che nel febbraio del 1932 fu la sede della prima, importante personale di carattere retrospettivo organizzata da Pizzanelli in città, che fu per lui l’occasione per presentare una cinquantina di dipinti riassuntivi di una già lunga carriera. L’edificio che già era stato dell’importante famiglia dei Lanfranchi Lanfreducci, e che ancora era arricchito da eleganti stucchi e dagli affreschi settecenteschi dei Melani e del Tempesti, non era mai stato oggetto di particolare attenzione da parte degli artisti pisani, che semmai avevano preferito l’infilata dei lungarni. Se questa volta meritò un’attenzione peculiare, fu probabilmente per la necessità di siglare un evento importante e strettamente legato alla biografia dell’artista.
Nel palazzo vi aveva del resto esposto solo pochi mesi prima il futurista Fortunato Bellonzi, in un’altra molto acclamata circostanza non priva di opportunità mondane per colui che si dichiarava marinettiano in corpo e in spirito, e l’esposizione assunse dunque per Ferruccio il carattere di una sorta di celebrazione ufficiale, il riconoscimento pubblico della sua statura artistica. In questo modo Pizzanelli, legato alla sua petite sensation di paesaggi e di volti autentici, si avviava a rappresentare a Pisa l’altra faccia dell’arte ufficiale, quella legata alla tradizione toscana, lontana e forse opposta alle sperimentazioni futuriste.
Tutto sommato, considerando che a quelle date il Futurismo stava già diventando accademia, la strada più coraggiosa fu forse proprio quella di Ferruccio Pizzanelli
Stefano Renzoni, Una Nota su Ferruccio Pizzanelli.
Stampato in occasione della donazione, da parte della Generale Fondiaria Sai divisione Sai Pisa, all’Università di Pisa di un dipinto del pittore Ferruccio Pizzanelli, raffigurante il Palazzo alla Giornata. Felici Editore, 2011